Da sempre La guerra di Piero gode di un apprezzamento unanime. Senza eccedere in una lista di nomi e citazioni che occuperebbe intere pagine, basti pensare che persino Biagio Buonomo, uno studioso non sempre benevolo nei confronti di De André, ha scritto: "Non mi soffermerò più di tanto a sottolineare l'autentica grandezza di un brano che, senza una parola e una nota di troppo, comunica più orrore per la guerra di tutta la cospicua produzione in versi che, sull'argomento, ha lasciato in eredità il '900. Per non dire a quale distanza lasci le celebratissime ballate dylaniane".* [Parole che avrebbero reso felice la dolcissima Fernanda Pivano, la grande traduttrice della Antologia di Spoon River, intima amica ed entusiasta sostenitrice di Fabrizio**].
La storia narrata è di una chiarezza esemplare, ed assai bene l'hanno tratteggiata in un testo destinato alla scuola due validissimi studiosi come Paolo Briganti e Walter Spaggiari: "Il protagonista è un soldato, Piero, che in una luminosa giornata di primavera, dopo un lunghissimo cammino iniziato nel cuore dell'inverno, varca il confine che divide due nazioni. Mentre riflette sull'inutile ferocia della guerra, vede in fondo alla valle un soldato nemico che certamente prova le sue stesse paure ed è tormentato dai dubbi. Pur consapevole che soltanto uccidendolo potrà salvarsi, Piero appare indeciso sul da farsi. Quell'incertezza, frutto di un atto istintivo di umana solidarietà, gli sarà tuttavia fatale, perché l'avversario, accortosi del pericolo, non esiterà a sparargli". *** Piero muore, dunque, per la colpa paradossale di non aver ucciso un uomo "con la divisa di un altro colore": e ciò non per viltà, ma per una fatale esitazione dovuta a un istintivo sentimento di fraternità, per la consapevolezza di essere (proprio come il nemico: parola mai pronunciata nel testo, d’altronde!) una semplice pedina di un gioco disumano ed assurdo, che schiera umili contro umili in una lotta senza senso. Tuttavia la follia della guerra viene deplorata senza rabbia e lamentazioni, senza proclami o invettive, ma solo con rassegnata tristezza, come di fronte a un dramma che – quantunque perpetrato dall'uomo – pare sovrastarlo come una forza ineludibile. Nonostante il nome del soldato, La guerra di Piero ha una dimensione metastorica e finisce in tal modo per assumere un valore emblematico, universale, di denuncia e ripulsa dell'azione più odiosa, tragica e insensata, stupida e immotivata che gli uomini possano commettere. E continuano, purtroppo, a commettere imperterriti. In posizione iniziale e finale, secondo un modulo stilistico già rilevato per Carlo Martello, è collocata la sconsolata constatazione del narratore di fronte al cadavere di Piero, il cui ultimo pensiero, di intonazione quasi scherzosa, va alla donna amata, a significare che i sentimenti privati permangono al di là della stupidità collettiva. Nelle strofe interne si alternano le riflessioni pacifiste del soldato (II, VIII, XII), gli inviti del narratore (IV e VII) e le sequenze propriamente narrative (III, V, VI, IX, X, XI, XIII). Nonostante il livello strettamente denotativo, che consente una comprensione immediata, si possono evidenziare non poche figure retoriche di rilievo: le metafore dell'"inferno" (= guerra) al v. 10 e dell'"anima in spalle" (= angoscia, e fatica) al v. 21; l'iperbole delle "parole / troppo gelate per sciogliersi al sole" dei vv. 51-52; l'iperbato nell'espressione "dei morti in battaglia ti porti la voce" (v. 15); e varie anafore: "fermati Piero, fermati adesso" (v. 13), "sparagli Piero, sparagli ora" (v. 25), "cadesti a terra senza un lamento / ... / cadesti a terra senza un lamento" (vv. 37-41), "dentro alle mani stringevi il fucile / dentro alla bocca stringevi parole" (vv. 50-51). ASPETTI METRICI Nel testo, composto da quattordici quartine, prevalgono gli endecasillabi ma vi sono molti quinari doppi (ad es. vv. 5, 8, 10, 11, 13, 20, ecc.). Gli endecasillabi sono quasi tutti a minore e quindi l'accento primario coincide con quelli centrale e finale del quinario doppio, conferendo al testo (e alla musica stessa) un ritmo di marcia. Pochi versi, infatti, si sottraggono a questa regola: e precisamente tre endecasillabi non canonici, tutti accentati sulla quinta sillaba (vv. 17, 23, 44), e tre senari doppi (vv. 16, con sinalefe centrale, 21 e 40). I vv. 11-12 ("te ne vai triste come chi deve / il vento ti sputa in faccia la neve") e 47-48 ("Ninetta bella dritto all'inferno / avrei preferito andarci in inverno") sono legati da episinalefe, e quindi il loro ritmo rimane inalterato. Quanto al tipo di rime, prevale quella baciata (strofe I, III, V, VI, VII, IX, X, XI, XII, XIV) ma con eccezioni: a rima incrociata è la strofa II; alla strofa IV vi è un’assonanza atona ("adesso" / "addosso"), come pure alla VIII ("cuore" / "morire"), mentre alla XIII vi è assonanza tonica ("sentire" / "fucile"). NOTE
CONFRONTO Le canzoni di De André hanno spesso riferimenti colti, a parte ovviamente quelli che derivano dallo studio e dall'elaborazione di testi letterari veri e propri (come negli album La buona novella e Non al denaro non all'amore né al cielo). Il caso probabilmente più celebre è quello di La città vecchia, che ha numerosi collegamenti con Città vecchia di Saba. Anche per La guerra di Piero, che è forse la canzone più antologizzata del nostro autore, è possibile individuare analogie con un testo poetico, e precisamente col sonetto Le dormeur du val di Arthur Rimbaud. Vediamo...
Non ho elementi sicuri per sostenere che De André conosceva Le dormeur du val allorché scrisse La guerra di Piero, ma di certo egli apprezzava già, a quell'epoca, la lingua e la cultura francese. Tramite il padre, che era d'origine provenzale, Fabrizio incontrò le canzoni di Georges Brassens fin dal 1956. E non sembra azzardato ipotizzare che più o meno contemporaneamente, magari sulla spinta dei dischi del suo grande maestro, egli cominciasse ad occuparsi anche di letteratura francese. Si è già detto dell'influsso di Villon ne Il testamento ma esso si eserciterà ancora in Valzer per un amore, accanto a quello di Ronsard; e ancora (per il periodo che stiamo esaminando) la presenza di Baudelaire, nume tutelare della poesia contemporanea, non solo francese, è ravvisabile in Per i tuoi larghi occhi, Delitto di paese (tratta da L'assassinat dello stesso Brassens) e La ballata dell'amore cieco. Per quanto riguarda La guerra di Piero, le analogie con Le dormeur du val sono evidenti: oltre a quella più generale, ovvero tematica, spiccano alcuni elementi particolari, dal "giovane soldato" che "dorme" al "ruscello". Soprattutto il verso finale (dove si precisa che il soldato "ha due fori rossi... sul costato") rende esplicito ciò che già risulta intuibile procedendo nella lettura, e cioè che il "giovane soldato" non sta dormendo: il suo sonno è metafora ancestrale della morte. Proprio come il sonno di Piero. Inoltre, anche nella poesia di Rimbaud il tono narrativo è interrotto da un'invocazione del narratore, seppure rivolta alla Natura e non direttamente al soldato. La differenza più vistosa è che in De André, come abbiamo visto, si aggiunge a tratti la voce del protagonista. Per il lettore interessato, fornisco qualche chiarimento su specifiche immagini del testo rimbaudiano. I "cenci d'argento" (vv. 2.3) alludono probabilmente all'acqua che il ruscello lascia sugli steli che lambisce. "Altiera" (v. 3) significa superba, sdegnosa. Molti commentatori ritengono che la figura del "giovane soldato" (vv. 5-6) sia un riferimento alla guerra franco-prussiana del 1870, conclusasi con la sconfitta francese. Il "nasturzio" (v. 6) è una piante che produce fiori di diversi colori e che cresce nei luoghi umidi. "Bianco" (v. 8) sta ovviamente per pallido. Il soldato ha "due fori rossi... sul costato" (v. 14). Dunque non sta dormendo: il sonno è chiaramente metafora della morte. [Giuseppe Cirigliano, Il "primo" De André, Emmelibri, Novara, 2004] |