• È un susseguirsi di pensieri che delineano già il tema meglio sviluppato in seguito nell’album La buona novella. Fra tutte, l’affermazione più importante riguarda la completa umanità di Gesù e la negazione della sua origine divina e della sua capacità di levare il male dal mondo: non intendo cantare la gloria... di chi penso non fu altri che un uomo, come Dio passato alla storia... perché il male dalla terra non fu tolto.
    [Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, Tre Lune, Mantova, 1999, p. 34]


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    Il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. Questo è stato Gesù secondo De André. "Gesù rimane un esempio da imitare" - dirà in una delle sue ultime interviste, al Secolo XIX, il 3 novembre 1997. "Ama il prossimo tuo come te stesso è un principio bellissimo".
    Già nel suo primo album, la quarta canzone è esplicitamente dedicata al Figlio di Dio dei cristiani: Si chiamava Gesù. Scelta tanto più significativa se si considera che il pezzo d'apertura è una preghiera rivolta al "Dio di misericordia", affinché accolga in paradiso l'amico suicida, e la terza è Spiritual.
    Ma in Si chiamava Gesù, che peraltro non è una delle sue migliori canzoni, FDA esprime in modo diretto ed esplicito la propria convinzione: l'hanno chiamato Dio, ma era solo un uomo, uno straordinario personaggio, ma pur sempre un uomo come noi.
    Non intendo cantare la gloria
    né invocare la grazie o il perdono
    di chi penso non fu altri che un uomo
    come Dio passato alla storia.
    Ma inumano è pur sempre l'amore
    di chi rantola senza rancore,
    perdonando con l'ultima voce
    chi lo uccide fra le braccia di una croce.
    Ecco il punto: De André non professa la divinità del Cristo, ma nei gesti e nelle parole dell'uomo raccontato dagli evangelisti non può non vedere la traccia di qualcosa che va oltre una logica meramente umana: "inumano", dice, a proposito del perdono pronunciato da Gesù nei confronti di chi l'ha messo in croce, e un altro avrebbe potuto dire "divino" o "soprannaturale". "Uomo inumano! - commenta il filosofo Silvano Zucal - Che potentissima definizione cristologica! Uomo in-umano, non dis-umano, né sovrumano. Un concetto più ricco di un intero volume di dogmatica".
    In questo senso, la "cristologia" di De André è in linea con quella della filosofia novecentesca:
    Solo perché egli ha compreso tutto dell'uomo, solo perché ha capito e fatta propria la sua abissale miseria [...], Gesù di Nazareth può (potrebbe... dovrebbe...) essere riconosciuto come il Cristo! [...] È il racconto dell'umanità di quell'incredibile uomo che può aprire uno squarcio alla sorpresa. Il filosofo del Novecento si trova spesso nella parte del centurione che stupito deve proclamare: "Costui davvero era Figlio di Dio!". Un "centurione", appunto, un escluso dai dibattiti teologici, un escluso anche e per lo più dalla sequela e dal discepolato, ma egualmente attratto da quell'umanità traboccante in cui - almeno in parte - si riconosce" (S. Zucal, introduzione a Il Cristo dei filosofi).

    Sì, anche De André è stato un po' "centurione", ha riconosciuto nella figura del Nazareno un amore "alto" e "altro", che sfugge alle normali categorie. Un amore che lo porta ad accettare
    ad estremo saluto
    la preghiera e l'insulto e lo sputo.
    L'ultima strofa torna a negare la divinità del Nazareno (e di risurrezione, qui e altrove, esplicitamente non si parla mai), ne critica con una formula un po' goffa ("Ebbe forse un po' troppa virtù") la figura oleografica imposta come modello dai catechismi, e avanza l'obiezione di fondo che molti atei "rinfacciano" a Dio: il male è rimasto nel mondo, nonostante l'estremo sacrificio di Gesù, e ciò negherebbe la bontà e l'onnipotenza di Dio.
    E morì come tutti si muore
    come tutti cambiando colore
    non si può dire che sia servito a molto
    perché il male dalla terra non fu tolto.
    [...]
    Di Maria dicono fosse il figlio,
    sulla croce sbiancò come un giglio.
    È l'obiezione di Ivan nei Fratelli Karamazov, è il dolore innocente che diventa scandalo di Dio. È il bambino massacrato dai turchi in braccio alla madre, è il ragazzo fatto sbranare dai cani davanti a un'altra madre. È l'accusa del Grande Inquisitore al Cristo tornato sulla terra per constatare che nulla è cambiato, dopo il suo primo passaggio tra gli uomini.
    [Paolo Ghezzi, Il vangelo secondo De André, Ancora, 2003, pp. 70-72]


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    Le vicende del Cristo vengono narrate da Faber in modo alternativo e anticonformista, quasi anticipando i vari Jesus Movement diffusi in tutto il Pianeta tra gli anni Sessanta e Settanta a dipingere un Redentore hippy, giovane tra i giovani. E parimenti De André alla fine lo ritiene quasi un essere umano, in carne e ossa, un normalissimo antieroe e un comune mortale che forse non riesce a estirpare il male dal mondo. Si tratta però di versi abbastanza dibattuti, perché l'Autore dice anche che Gesù prende la terra per mano, servendo a qualcosa. Alla fine, nonostante il pensiero ateo e il comportamento agnostico, Fabrizio si rivela, nella song, un gran fiero rispettoso ammiratore del Figlio di Dio, a cui non a caso dedica parecchie altre canzoni e del quale tesse le lodi pubblicamente in interviste o parlando ai concerti tra un pezzo e l'altro: "E mi stupii che un cantautore riscuotesse tanto interesse nel mondo ecclesiastico, anche se è vero che la radio vaticana aveva lungamente programmato Si chiamava Gesù, che la Rai tenacemente rifiutava giudicandola blasfema". Le musiche vengono scritte assieme da Gian Piero Reverberi e Vittorio Centanaro (non accreditato per l'assenza alla SIAE), chitarrista e compositore classico, nonché profondo connoisseur di sonorità medievali e rinascimentali, che permeano l'arrangiamento e le cadenze del brano stesso, che così acquista il sapore di un'antica melodia trovadorica. Proibita in RAI da stupidi censori, la canzone, infine, grazie alla Pro Civitate Christiana, viene appunto messa in onda da Radio Vaticana.
    [Guido Michelone, Fabrizio De André. La storia dietro ogni canzone, Barbera, 2011, pp. 122-123]


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    A posteriori considerata un prodromo de La buona novella, la canzone contiene in effetti un elemento chiave - l'umanizzazione della figura di Cristo - che poi troverà forma compiuta e matura nel capolavoro di De André, pubblicato tre anni più tardi. Il testo sintetizza la storia e la figura di Gesù, visto non come un Dio sceso in terra, ma come un uomo che, grazie alla forza del suo amore per i propri simili, supera i limiti stessi dell'umanità ("Penso non fu altri che uomo / come Dio passato alla storia / ma inumano è pur sempre l'amore / di chi rantola senza rancore / perdconando con l'ultima voce / chi lo uccide tra le braccia di una croce"). Ecco il cuore del brano: Faber non professa la divinità di Cristo, ma nei gesti e nelle parole dell'uomo narrato dagli evangelisti non può non scorgere la traccia di qualcosa che va oltre una logica puramente umana: "inumano", ammette, a proposito del perdono pronun ciato da Gesù nei confronti di chi pure l'ha messo in croce, laddove altri avrebbero potuto dire "divino" o "soprannaturale". "Uomo inumano! - ha commentato il filosofo della religione Silvano Zucal. - Che potentissima definizione cristologica! Uomo in-umano, non dis-umano, né sovrumano. Un concetto più ricco di un intero volume di digmatica". Alla stesura della musica di Si chiamava Gesù collabora il chitarrista genovese Vittorio Centanaro (1929-2011), già autore musicale de La guerra di Piero, che non figura nei crediti in quanto non iscritto alla Siae. Il brano, come Dio è morto e altri di quegli anni, rientra nel novero delle canzoni censurate dalla Rai per timore del vilipendio alla religione di Stato e, paradossalmente, trasmesse con regolarità dalla Radio Vaticana che ne apprezza l'alto valore morale.
    [Brunetto Salvarani / Odoardo Semellini, Dio, tu e le rose, Il Margine, Trento 2013, pp. 309-310]