• Dopo Aristotele e fino a Plotino (età che prende il nome di ellenismo) la filosofia andò sempre più frantumandosi in scuole che rivolsero il loro interesse non più alle grandi questioni metafisiche e gnoseologiche, ma a quelle morali. Fra le più importanti ricordiamo lo stoicismo, l'epicureismo e lo scetticismo.




    Gli stoici credevano ostinatamente in una Ragione divina che reggerebbe il mondo secondo un ordine necessario. Sulla base di questa convinzione, essi pensavano che fosse giusto adeguarsi armonicamente al tutto appunto perché tutto è come deve essere, e che soltanto in questo modo è possibile liberarsi dall'asservimento alle passioni individuali (apatia: da a privativo e pathòs = passione), raggiungendo la serenità interiore... Insomma, tutte cose facile a dirsi, ma un po' meno a farsi. Tanto che non sappiamo con certezza se almeno Zenone di Cizio (335-263), il fondatore, ci sia riuscito! E comunque un'onta perenne grava sull'ambizioso progetto dello stoicismo: vale a dire la morte di un certo Crinide, dovuta al terrore provato per lo squittìo di un topo.
    Degli stoici bisogna però ricordare che per primi usarono il termine "logica" (che da allora è rimasto tale) per indicare quella dottrina che studia i vari tipi di ragionamento e che Aristotele chiamava "analitica".




    Gli epicurei, così chiamati dal nome del loro caposcuola Epicuro (342-270), sostenevano che il fine ultimo dell'uomo è la felicità (eudemonismo), e che questa consiste nel piacere (edonismo), cioè nella soddisfazione dei desideri... Questa teoria, semplice da sostenere ma di difficile realizzazione, è stata ed è spesso fraintesa e distorta, tanto che appare affatto gratuita ed ingiustificata l'accusa di smodatezza troppo spesso rivoltale. La teoria di Epicuro, infatti, non implica che tutti i piaceri siano buoni, ed anzi essa sostiene addirittura l'opportunità di limitare il numero dei desideri, di modo che non ne restino troppi insoddisfatti. Anziché fidarsi di rapidi e imprecisi riepiloghi manualistici, basti leggere (visto ch'è anche di gradevole ed agevole lettura) la famosa Lettera a Meneceo.
    La massima più nota di Epicuro - citata in ogni manuale degno di tal nome - ha un potere consolatorio ma risulta al tempo stesso un po' deprimente. Essa infatti recita:

    Il più terribile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte noi non siamo più.

    Bisogna del resto tener presente che in ciò consiste uno degli elementi del tetrafarmaco, che (come scrive il suo traduttore Graziano Arrighetti) "condensa in quattro brevi proposizioni tutta la dottrina epicurea della felicità: la divinità non è da temersi; la morte non deve arrecare turbamento; il bene è facilmente procacciabile; il male facilmente sopportabile".




    E passiamo agli scettici, che praticamente non credevano in nulla. Si pensi che il fondatore di questa corrente filosofica, Pirrone di Elide (360-270 a.C.), non scrisse alcun libro: probabilmente perché non credeva che qualcuno avrebbe mai avuto voglia di leggerli...
    Il succo del loro pensiero consisteva nel dire che nessuna percezione sensoriale è credibile, e di conseguenza non si può essere sicuri di niente... Che dire? Se qualcuno mi chiedesse: "Come si fa a essere sicuri che non si può essere sicuri?", risponderei che non lo so, anche se non ne sono sicuro; anzi, non sono nemmeno sicuro di non esserne sicuro...
    Battute a parte, anche se non scrisse nulla, coerentemente col suo atteggiamento di indifferenza verso ogni forma di conoscenza, Pirrone tenne nella propria città un insegnamento che fu raccolto da Timone di Fliunte (325-? a.C.), il quale lo diffuse poi in Atene, ove fu in parte accolto dall'austera Accademia di Platone.




    Fra le scuole minori che si batterono per la conquista della ribalta filosofica spicca quella dei cinici, fondata da Antistene (436-366 circa a.C.) subito dopo la morte di Socrate (di cui era stato allievo) ma ancora attiva nel periodo di cui stiamo parlando. I cinici erano maestri nello smascherare le ipocrisie e nel condannare i beni esteriori come l'onore e la ricchezza. Uno di loro, un certo Cratete di Tebe, era noto come "lo sfondatore di cancelli", per via della sua abitudine di irrompere nelle case private e insultare gli astanti. Ma il più famoso fra i cinici fu Diogene (circa 413-323 a.C.), che viveva in una botte e che deve la sua fama soprattutto a un aneddoto: ad Alessandro Magno, che lo aveva invitato ad esprimere un qualunque desiderio, ebbe l'ardire di chiedergli semplicemente di scostarsi dalla luce del sole perché, sostando davanti a lui, gli faceva ombra. Verità o leggenda che sia, questo racconto mostra appunto l'atteggiamento sprezzante dei cinici verso i beni e i valori dominanti (allora come ora) della società.