• Gianpiero Reverberi ha definito Via del Campo "una delle più belle canzoni che siano mai state scritte"*, ed io, se posso esprimere un mio gusto personale, sono assolutamente d'accordo con lui.

    Via del campo è una stradina della Genova angiportuale, ritenuta malfamata per la presenza di prostitute, di travestiti e di gente povera che vive di espedienti illegali. Di questo mondo, a più riprese, De André ha individuato e sottolineato il carattere positivo nella autenticità e nella passionalità del vivere quotidiano, contro ogni falso perbenismo e moralismo del senso comune. Ma qui la sua attenzione si appunta sulla donna, la cui immagine è delineata con estrema delicatezza e sicuramente idealizzata. I termini usati per rappresentarla richiamano al candore e alla purezza ("graziosa", "bambina", "rugiada") o alle gioie che ella può donare ("sorriso", "paradiso"). Una vena di malinconia attraversa tuttavia quegli "occhi grandi color di foglia" e "grigi come la strada", perché lei - forse - non è lì per scelta (perciò inutilmente "ci va un illuso a pregarla di maritare"), anche se poi è costretta ad essere molto docile e a non negarsi a nessuno: "basta prenderla per la mano". La duplice ma inscindibile metafora finale sottolinea da un lato il giudizio di positività che De André esprime per quel mondo umile e reietto ("letame"), ma pieno di umanità e passione, cui la giovane prostituta appartiene; e, d'altro lato, formula la condanna al vuoto e all'insensatezza del mondo ricco e benestante, ma ipocrita e freddo ("diamanti").
    Com'è stato notato, "mai per De André la prostituta è veramente colpevole; la colpa semmai è dalla parte di chi profitta dei suoi servigi" **, che lo faccia prendendola per mano, oppure definendola "pubblica moglie" di giorno ma cercandola spasmodicamente di notte, come fa il "vecchio professore" della Città vecchia.

    Può essere curioso, data la loro notorietà, sapere che la musica di Via del campo è tratta da una ricerca musicale di Dario Fo e Enzo Jannacci, rielaborata da quest'ultimo nella canzone La mia morosa la va a la fonte, del 1965. Ed ancor più curioso apprendere che la protagonista era in realtà un travestito genovese di nome Giuseppe, come lo stesso De André raccontò durante un'intervista televisiva e anche in Amico fragile, il suo libro del 1991 con Cesare G. Romana)

    Considerate la brevità del componimento e la sua esemplare chiarezza, è notevole il ricorso alle figure retoriche. Vi sono varie metafore: rosa (v. 4) = offerta di sé; paradiso (v. 15) = gioie dell'amore; "diamanti" (v. 23) = mondo ricco e borghese; "letame" (v. 24) = mondo umile e povero; "fior" (v. 24) = bellezza, giovinezza, passione, felicità. Evidente l'anafora nella ripresa del titolo (strofe I, II, III, V). Nella similitudine “occhi grigi come la strada” (v. 7) i due sostantivi sono messi in relazione per il colore, ma la strada ha in sé anche l'idea del luogo nel quale le prostitute sono costrette a vendere se stesse.

    ASPETTI METRICI
    Sei quartine di novenari piani, ad eccezione dell'ultimo verso che è tronco, con schema a rima incrociata (ABBA), ma vi è un caso di rima imperfetta: "puttana/mano” (vv. 9-12) e un'assonanza tonica: "maritare/scale" (vv. 18-19). Assente la rima tra il primo e il quarto verso dell'ultima strofa: "risponde/fior" (con tonica tuttavia identica).
    Il ritmo è lento e cadenzato, da ballata, caratterizzato dalla regolarità dell'accento di terza ma con alternanza del secondo accento sulla quinta o sulla sesta sillaba. La sintassi è fondamentalmente paratattica, con due ipotetiche ("se di amarla...", "...se amor risponde"), due finali ("a pregarla..., a vederla...") e una temporale ("fino a quando...").

    NOTE
    * Citato in R. Bertoncelli (a cura di), Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André, Giunti, Firenze 2003, p. 75.
    ** L. Nissim, Il rispettoso bardo delle donne, in Fabrizio De André. Accordi eretici, cit., pp. 135-136.

    [Giuseppe Cirigliano, Il "primo" De André, Emmelibri, Novara, nuova edizione 2022]
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    Via del campo ci porta in un ambiente cittadino: la graziosa, la bambina, la puttana sono accomunate dal bisogno di affetto e con l’illuso sono personaggi ai margini della società, visti con occhio benevolo: “dai diamanti non nasce niente, / dal letame nascono i fior”. Proprio questi versi sono rivelatori della posizione anarchica di De André: solo i reietti, protagonisti delle vicende che egli narra, sono il sale della terra.
    [G. Baldazzi - L. Clarotti - A. Rocco, I nostri cantautori, Thema editore, 1990, p. 108]


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    Accanto all’amore intenso dell’innamoramento, a quello delle passioni dei sensi, all’amore sfumato nel tempo, compare puntualmente l’amore offerto in vendita dalle graziose o regine, che più tardi diverranno le bambole che bruciano copertoni, a cui De André ha dedicato alcune delle sue canzoni più belle e note, da Via del campo a Bocca di rosa, restituendo in poesia, al di fuori e al di sopra di tutte le indagini sociologiche, il senso antico e lo spessore quasi mitico della prostituzione.
    [D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Editori Associati, 19993, p. 103]


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    Nella prostituta sintetica di De André si riuniscono la patetica povertà, la sfolgorante e malinconica bellezza, e l’ingenuità miracolosa della bambina, come avviene nella stupenda figura tratteggiata nella celebre canzone di Via del Campo. Graziosa, bambina, puttana: questa è la prostituta di De André, il qualche chiude la canzone a le dedicata con le notissime parole: “dai diamanti non nasce niente / dal letame nascono i fior”.
    [L. Nissim, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, 1997, p. 128]


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    E se le “graziose” di via del Campo non fossero che maschiacci imparruccati, la barba che preme sotto il fondotinta, le poppe suscitate dal silicone e, sotto i pizzi dello slip, un’escrescenza per niente femmina? Via del Campo, una stradina livida a ridosso di piazza della Annunziata, è uno dei luoghi deputati del piacere proibito, nella Genova angiportuale. Fabrizio vi capitava spesso, la sera, nei gironi di questo miserabile e divertente inferno urbano, dove l’aroma del salino si sposa al puzzo della spazzatura e i dannati non paiono in cerca di alcuna Beatrice - se non quelle, ambosessi, che si appoggiano ai muri chiamando clienti con voci ora di violino ora di trombone - e di alcun paradiso. “Dai diamanti non nasce niente, / dal letame nascono i fior”.
    [C.G. Romana:, mico fragile. Fabrizio De André, Sperling & Kupfer, 19993, pp. 25-26]


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    Via del campo è la strada dei travestiti genovesi, dove una graziosa “vende a tutti la stessa rosa”, e se c’è un illuso che vorrebbe sposarla, peggio per lui; comunque, lo sappiano i moralisti a oltranza: “dai diamanti non nasce niente, / dal letame nascono i fior”.
    [C.G. Romana, Amico fragile. Fabrizio De André, Sperling & Kupfer, 19993, pp. 59-60]


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    Via del Campo è senza dubbio una delle canzoni più amate dal pubblico e dallo stesso De André, che non mancò di inserirla nei suoi tour. Assoluto, tra l'altro, anche l'apprezzamento di Gian Piero Reverberi: "Per me Via del Campo resta una delle più belle canzoni che siano mai state scritte"*. Il titolo fa riferimento a una viuzza nel cuore della vecchia Genova, in una zona che De André amava frequentare fin da ragazzo, e la canzone fu ispirata da un travestito genovese. De André rievocò la circostanza nel corso di un'intervista televisiva (e anche in Amico fragile, il suo libro del 1991 con Cesare G. Romana), raccontando come quella che si supponeva essere una bellissima ragazza bionda di nome Joséphine si fosse rivelata un "Giuseppe". Dalle parti di Via del Campo corre il nome di tale Morena, e non si può affatto escludere che i travestiti da cui De André trasse ispirazione siano stati diversi, come le prostitute, e che ognuno abbia dato uno spunto.
    La musica era inizialmente descritta come "del XVI secolo, tratta da una ricerca di Dario Fo e Enzo Jannacci". Solo molto più tardi Jannacci raccontò di aver fatto uno scherzo a De André presentandogli una musica sì medievale, ma riaggangiata da lui. In effetti si tratta della musica della canzone La mia morosa la va a la fonte (testo di Dario Fo), che Jannacci usò in uno spettacolo del 1965 e pubblicò nell'album Vengo anch'io. No, tu no, nel 1968. Una volta chiarita la faccenda, la musica di Via del Campo fu accreditata a Jannacci.
    Uno dei temi più cari a Fabrizio De André è relativo ai cosiddetti ultimi, i diseredati, quelli che vivono ai margini della società, i poveri, i barboni, le prostitute, i ladri, gli ubriaconi... un tema che in questa canzone è trattato in piena coerenza e trova felice sintesi negli ormai celeberrimi versi "dai diamanti non nasce niente, / dal letame nascono i fior"**, che dicono tutto dell'atteggiamento che Fabrizio nutrì sempre nei confronti delle anime perse, dei ceti sociali più miseri. Ed è difficile che il pensiero non corra a come, nella sua ultima opera in studio, in Prinçesa, De André sia riuscito a dare ancora maggior corpo a questa sua sensibilità.
    Ma la canzone è famosa anche per una parola, cantata forse per la prima volta in modo così esplicito, senza enfasi, compiacimento, moralismi, così come si racconta una storia e si nomina una parte di umanità. Il verso è "Via del Campo c'è una puttana". Era il suo modo di parlare delle persone, e ha lasciato decisamente il segno.
    Siamo perfino autorizzati a pensare che i versi "Via del Campo ci va un illuso / a pregarla di maritare" siano un po' autobiografici. Disse De André nel lontano 1969: "Tuttavia le donne di strada sono un mio tema sincero. Ho vissuto in mezzo a loro. Sono semplici, spontanee, hanno le loro grandi crisi, ma si spaccano come meloni, sono aperte e non piangono mai. Le donne di buona famiglia si mettono subito a piangere. Prima di incontrare mia moglie ho conosciuto e amato, molto amato, una donna di strada. Però sono stato vigliacco e ipocrita: ecco, qui sono rimasto borghese. No, non l'avrei mai sposata". ***
    In una lettera aperta a De André dopo la sua morte, Carla Corso, cofondatrice (insieme a Pia Covre) del Comitato per i diritti civili delle prostitute, gli si rivolge così: "Forse non lo sapevi, Fabrizio, che cosa avevi fatto per me, per noi. In Bocca di rosa, in Via del Campo, mi sono specchiata. Ero una prostituta della strada e ti ascoltavo, e da dentro sentivo montare la mia dignità. Poi, grazie alla dignità sono venuti l'orgoglio e la ribellione. ****

    NOTE
    * [Gian Piero Reverberi, intervista a Riccardo Bertoncelli, in Belin, sei sicuro? Storia e canzoni di Fabrizio De André, Giunti Editore, Firenze, 2003]
    ** Un possibile spunto è legato al fiore di loto, che nasce e cresce nel fango ed è usato come simbolo di risveglio spirituale.
    *** [Luigi Bianco, Se incontro Paolo Villaggio, lo picchio, "Sogno", 12 gennaio 1969]
    **** [Dalla lettera di Carla Corso a Fabrizio De André, in Romano Giuffrida, De André. Gli occhi della memoria, Elèuthera, Milano, 2001]

    [Walter Pistarini, Il libro del mondo, Firenze - Milano, 2013, pp. 52-54]