Barbara è ritratta con poche tinte molto forti, come una ragazza decisa a godersi le gioie dell’amore e i piaceri della carne senza porsi troppi problemi. Questo èerché è consapevole che il matrimonio comporterebbe anche delle rinunce e, quindi, dei dispiaceri ai quali bisogna sottrarsi per più tempo possibile. Il suo gioco amoroso si regge sulla certezza interiore che, almeno nella giovinezza, non ci sarà neanche il tempo per rimpiangere l’amore precedente, perché ne arriverà subito un altro.
[Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, Tre Lune, Mantova, 1999, p. 34] Siamo nel 1967, Paolo VI richiama i fedeli alla "santità coniugale". Fabrizio De André risponde con La canzone di Barbara, la "bocca infedele" che sa "di fragola e miele", la passione che non trova pace, il sentimento e il matrimonio "differiti", il perdono evangelico per la peccatrice: "Lei sa che ogni letto di sposa / è fatto di ortica e mimosa / per questo ad un'altra età / Barbara / l'amore vero rimanderà / Barbara". Una canzone dolente, fragile, che esalta la voce di Faber, con doppia dedica: a Barbara Rombi Serra, la fotografa "ufficiale", o forse a un'altra Barbara, "fidanzatina con cui si andava in torpedone ad amoreggiare a Camogli". La musica è quasi accademica, da metodo di chitarra classica, con qualche colpo di armonica e di archi ma la voce di Fabrizio rende il brano morbido, struggente, emozionante, inestinguibile. La Bluebell la propone come lato A del 45 giri con Carlo Martello ma ritira immediatamente il disco perché La canzone di Barbara viene giudicata troppo debole, così Re Carlo sale sul trono della facciata "titolare" e sul retro spunta Il testamento. Ma è un errore perché Barbara si conserva come uno dei brani più dolci e trasgressivi di tutto De André.
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