Non si può, ascoltando questo brano, non pensare ad un'altra e giustamente più famosa composizione dell'autore: La guerra di Piero, di appena tre anni posteriore. Evidenti, infatti, le analogie: il tema stesso della guerra, la morte inesorabile del protagonista, il rimpianto (qui più esplicito, là sotteso) della donna rimasta sola.
Al tempo stesso, però, va sottolineata una differenza rilevante: mentre Piero è inerme di fronte al nemico in quanto trova insensata la guerra e perché colto da un sentimento istintivo di fratellanza, l'"eroe" di questa ballata muore perché:
Resta allora uno spazio per un'interpretazione ironica o quantomeno antifrastica: nel senso che non c'è alcuna verità da cogliere, per il pacifista e anarchico De André, nell'assurda tragedia della guerra. La ricerca del senso (di un senso introvabile in questo contesto) si arresta - come ogni altra ricerca - di fronte alla morte, limite e giudice implacabile, e spesso inesplicabile, di ogni umana azione. E di fronte alla morte, a questa stupida e orrenda morte, De André mette in rilievo l'osceno contrasto fra la retorica vacua di una patria che:
La coesistenza indisturbabile fra indifferenza e tragedia, che sempre (come qui) si verifica di fronte alla morte, è resa da De André con un dettato sobrio e un tono controllato, che sembrano più voler rispettare il dolore individuale che accusare la prosopopea e la vanagloria di uomini vuoti che decidono in nome dei propri ideali (ma in realtà per i propri meschini interessi) la sorte dei propri simili. Una storia antica, eppure di tristissima attualità. Il livello linguistico è strettamente denotativo. La figura di maggior rilievo – cioè la metafora: "vendere cara la pelle" – è d'uso comune e così diffuso da risultare immediatamente comprensibile. Inoltre la personificazione della "gloria", nei versi finali, ha un evidente valore metonimico: indica infatti il ricordo del soldato da parte della donna che ne "aspettava il ritorno". ASPETTI METRICI Sia nel libro di D. Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, sia in quello curato da R. Cotroneo, Fabrizio De André. Come un'anomalia, i versi di questa ballata risultano raggruppati in modo da ottenere solo dodici versi, che poi (se dobbiamo tener conto della spaziatura) Fasoli raggruppa in due quartine e quattro distici, e Cotroneo in tre quartine. Nello spartito originale (Copyright 1968 by Edizioni Leonardi / Edizioni Barracuda) il testo è però costituito da tre strofe, la prima delle quali composta di otto versi e le altre due formate da nove versi ciascuna. Vero è che l'accoppiamento di alcuni versetti dà luogo a versi canonici veri e propri: ad esempio i vv. 1-2 formano un endecasillabo ("Era partito per fare la guerra"), così come i vv. 11-12 ("troppo lontano si spinse a cercare"), i vv. 14-15 ("Ora che è morto la patria si gloria"), calcolando una sinalefe (una obbligatoria, l’altra facoltativa) in entrambi i casi. Tuttavia, tenendo conto dell'edizione originale, dobbiamo constatare che all'interno delle tre strofe si alternano in vario modo versi brevi e di disuguale lunghezza: quinari, senari, settenari. Anche la relativa regolarità delle rime vien meno. Ad esempio, in relazione alla prima strofa, l'accoppiamento dei versi dà luogo a una quartina a rima baciata ("terra/guerra", "stelle/pelle"). Ma lo schema metrico originale è ABCBDEFE, dove peraltro AC risultano legati da assonanza atona ("partito/aiuto"). E sempre considerando la disposizione originaria dei versi, risulta distante la rima tronca "verità/farà" (vv. 13-22) e diversi vocaboli restano irrelati anche se alcuni sono fonicamente legati da assonanza: ad es. "partito/aiuto/dato" (vv. 1-3-5), "morto/ritorno" (vv. 14-19). [Giuseppe Cirigliano, Il "primo" De André, Emmelibri, Novara, 2004] |