Il re fa rullare i tamburi (canzone popolare francese del XIV secolo) si ricollega a Fila la lana prima di tutto per la forma musicale: entrambe sono ballate della tradizione francese; e anche l’argomento è simile. Il contrasto fra pubblico potere e amore privato si manifesta questa volta in maniera crudele con i capricci di un re stanco ed annoiato, che cerca nella moglie del marchese un rinvigorimento dei propri sensi amorosi. Il marchese, con il cuore spezzato, consapevole della prevalenza dell’onore gerarchico sui sentimenti, cede alla rivhiesta del re. A lenire il dolore non basta la nomina a maresciallo: il marchese abbandona straziato la sua donna, che è poi la vera vittima, uccisa dalla gelosia della regina.
Borsani-Maciacchini, (Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, Tre Lune, Mantova, 1999, p. 59] L'antica ballata popolare via via con i titoli Le Roi a fait battre tambour, Proclame del Roy, Choyx du Roi vanta certamente le origini nell'Île-de-France alla seconda metà del XIV secolo. Il testo - anche nella traduzione deandreana - riflette il costume regale di scegliere "la favorita" tra le nobili dame di corte. Il brano, anni prima, viene inciso nella lingua d'origine da Yves Montand e dalla sua versione è ripreso l'arrangiamento per clavicembalo, che conferisce quel tocco di misteriosa arcaicità, a cui contribuisce pure la voce penetrante di Faber aiutato musicalmente dalle orchestrazioni di Gian Piero Reverberi, che seguirà anche le prime registrazioni dei brani reincisi. Difficile trovare però significati reconditi, se non da un lato l'amore del Cantautore per la musica dei suoi antichi predecessori e dall'altro un generico femminismo contro la condizione subalterna dei matrimoni combinati. Una volta, però, Fabrizio dice a se stesso, forse pensando a questa canzone che riesce a "mistificare la natura delle persone che incontro allo scopo di metaforizzare i comportamenti [...] seduto in mezzo a una galleria di miti". [Guido Michelone, Fabrizio De André. La storia dietro ogni canzone, Barbera, 2011, pp. 69-70] |