COMMENTO
Siamo davanti a un testo di alta compostezza formale, che sublima in partecipe canto il pianto della materia.
La "Rabatana" è la zona più alta di Tursi (in Basilicata): la meno progredita, la più legataalle tradizioni antiche, ai tabù e alle pratiche superstiziose. È un paese nel paese. Ed è il primo "ricordo" che risale alla mente del poeta ripensando al suo borgo natio. Dopo una prima parte descrittiva, di un paesaggio rivissuto in tutta la sua precarietà, il momento sentimentale: il pensiero a quella gente costretta a vivere con gli animali in squallidi tuguri, e destinata così a divntare rissosa e violenta. E nonostante tutto, i momenti di gioia nonmancano in questo microcosmo di dolore. Un matrimonio, ad esempio, che il poeta descrive con icastica precisione, e dove l'effetto ritmico di alcuni versi:
"catarre, amndulini e colp-scuri
scamizzi di uagnuni e d'urganètte
e battarie e troni di tamure
rende l'atmosfera un po' folle della festa gioiosa, quasi un momento di liberazione dall'atroce quotidianità. Infine, nelle ultime due strofe, il momento affettivo più intimo: l'immagine struggente della madre-Madonna, vagheggiata più che ricordata s'ella lasciò ancora bimbo il poeta. Io credo non sia eccessivo affermare che questa esperienza traumatica abbia prodotto in Pierro un'avidità d'amore inappagabile, un bisogno d'affetto inestinguibile e perciò sempre precluso.
Ma torniamo alla lirica. Non c'è dubbio che con questa poesia siamo di fronte a uno dei punti più fermi e sicuri di tutta la produzione poetica di Pierro. Innanzitutto perché vi è in essa una varietà d'aspetti quali mai o di rado si poteva registrare, per una singola composizione, nella poesia in lingua; e inoltre tutti, tali aspetti, sono resi magistralmente nella potenza emblematica delloro realismo: il paesaggio, così vero eppure fantastico; il binomio amoremorte (che avrà tanta parte negli sviluppi della poesia di Pierro), sostenuto dalla figura casta e sfortunata della madre; e infini un interesse quasi sociologico per le genti di quel luogo (ma che più probabilmente è partecipazione cristiana, umana in genere, alla loro amara vicenda).
Quanto agli elementi formali, notiamo che in dialetto tursitano sono assonanti o rimano termini come "sale" (verbo) e "sembra" ("nghiànete" / "pàrete"), "mortaretti" e "tamburi" ("colp-scuri" / "tammure"), "in braccio" e "palazzo" ("mbrazze" / "paàzze"). E possiamo notare, accanto agli inusitati gruppi consonantici iniziali ("nghiànete", "mporte", "ndippèrese", "mbrazze"), il fonema /t/ mantenuto con valore flessionale ("pàrete", "sàpete", "tòrnete"). E un'altra cosa va detta subito, che non risulta, non utilizzando egli una trascrizione eruditamente fonetica, dalla scrittura di Pierro: vale a dire l'indistinta pronuncia della vocale finale. Quanto allo schema strofico e metrico del componimento, la sua struttura è liberissima, come sarà sempre in questa seconda e feconda stagione della poesia pierriana. E per i singoli versi, ch epur vanno dall'endecasillabo al novenario, dal settenario al quinario, non mi sembra che qui si risconri quella "tendenziale soggezione ai modevlli in lingua" di cui ha parlato in generale Mengaldo per la poesia dialettale del Novecento (P.V. Mengaldo, La tradizione del Novecento, Feltrinelli, Milano 1975, p. 137). Nella "necessità" delle parole di Pierro, infatti, non ha tanto valore il rispetto sillabico dei versi quali li ha consacrati la tradizione, quanto il tracciato accentuativo, il movimento sintattico, la pregnanza semantica, che strutturano "naturalmente" il verso senza una volontà artificiosa da parte del poeta. Per rendere pienamente ragione di questa impressione sarebbe fondamentale la dizione del poeta stesso, che sapeva dare efficace risalto ai valori prosodici del suo dettato. Ma sarebbe ingiusto pensare (come più o meno esplicitamente pensano i lettori di Pierro) che il merito di questa intima novità all'interno di forme consuete vada assegnato pressoché esclusivamente agli attributi peculiarissimi del nuovo linguaggio, alla loro potenza espressiva e valenza fonica, e poco o niente all'officina di Pierro. Con questo dialetto si possono infatti produrre cose pessime, come hanno mostrato loro malgrado alcuni baldi giovani tursitani nell'intento di emulare e diffondre le "gesta" dell'illustre erede di Orazio.
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