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          Son forse un poeta?
          No, certo.
          Non scrive che una parola, ben strana,
          la penna dell'anima mia:
      5  "follia".
    
          Son dunque un pittore?
          Neanche.
          Non ha che un colore
          la tavolozza dell'anima mia:
    10  "malinconia".
          Un musico, allora?
          Nemmeno.
          Non c'è che una nota
          nella tastiera dell'anima mia: 
    15  "nostalgia".
          Son dunque... che cosa?
          Io metto una lente 
          davanti al mio cuore
          per farlo vedere alla gente.
    20  Chi sono?
          Il saltimbanco dell'anima mia.
    
    
    [Poemi, 1909]

    METRO
    Versi liberi, con prevalenza di senari (8 versi su 20) e poi ternari, novenari, endecasillabi.

    COMMENTO
    L'esordio ricorda la Desolazione di Sergio Corazzini, ma qui il poeta-fanciullo diventa il "saltimbanco" della propria anima, tra "follia" e "malinconia", e con una superstite "nostalgia" di una condizione non mistificata; il poeta intende infatti mettere a nudo il suo cuore, in una vaga richiesta di corrispondenza, se non di comprensione e condivisione. Nel complesso, osserva Mario Pazzaglia, "c'è qui una demistificazione sofferta della condizione del poeta; certo, sminuita rispetto alle esaltazioni dannunziane (e anche pascoliane), ma vista come ancora capace di esprimere un'esperienza patetica aristocratica, una follia e una malinconia che appaiono ancora un segno d'eccezionalità in una società meschina che non chiede più nulla alla poesia. L'immagine finale del saltimbanco (...) è pur sempre un'immagine di libertà, di gioco magari pericoloso, ma che rifiuta la necessità imposta dal conformsimo, anche se appare chiusa in una solitudine malinconica di sradicato".