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          Voi che vivete sicuri
          Nelle vostre tiepide case,
          voi che trovate tornando a sera
          Il cibo caldo e visi amici:
    
      5            Considerate se questo è un uomo
                    Che lavora nel fango
                    Che non conosce pace
                    Che lotta per mezzo pane
                    Che muore per un sì o per un no.
    10            Considerate se questa è una donna,
                    Senza capelli e senza nome
                    Senza più forza di ricordare
                    Vuoti gli occhi e freddo il grembo
                    Come una rana d'inverno.
    
    15  Meditate che questo è stato:
          Vi comando queste parole.
          Scolpitele nel vostro cuore
          Stando in casa andando per via,
          Coricandovi alzandovi;
    20  Ripetetele ai vostri figli.
          O vi si sfaccia la casa,
          La malattia vi impedisca,
          I vostri nati torcano il viso da voi.
    
    10 gennaio 1946
    
    
    [In Se questo è un uomo, Silva 1947]

    METRO
    Una quartina seguita da due strofe di dieci e nove Una versi di lunghezza variabile. Senza rime ma con varie assonanze all'interno:ad es. "vivete / trovate" (vv. 1-2), "pace / pane" (vv. 7-8), "grembo / inverno" (vv. 13-14), "parole / cuore" (vv. 16-17).

    FUGURE RETORICHE
    Tra le varie figure retoriche spiccano alcune anafore: "voi che" (vv. 1 e 3); "considerate se" (vv. 5 e 10); "che" (vv. 6-9), "senza" (vv. 11-12). Da sottolineare anche una potente similitudine: "freddo il grembo / come una rana d’inverno" (vv. 13-14).

    COMMENTO
    Shemà (parola ebraica che vuol dire "ascolta") è un breve testo poetico che apre il più celebre libro di Primo Levi: Se questo è un uomo, pubblicato nel 1947, in cui vengono descritti l'internamento e la prigionia di Levi nei campi di Auschwitz e Monowitz, dal gennaio del 1944 al gennaio del 1945.
    L'intera poesia, rivolta direttamente al lettore, si fonda sull'assurdo contrato tra la vita "normale" e quella dei campi di concentramento, dove si lotta anche per avere un tozzo di pane e si può morire in qualsiasi momento, per un sì o per un no, per ragioni totalmente arbitrarie.
    Dopo i primi quattro versi, Primo Levi dice: "considerate": un verbo quasi scientifico. Non dice infatti "pensate", "dite la vostra", ma invita a guardare il più oggettivamente possibile e a fare una reale considerazione della condizione in cui è costretto un individuo in un campo di concedntramento. Uomini e donne sono entrambi defraudati delle loro caratteristiche umane.
    Per questo il "comandamento" del poeta al lettore è quello di scolpirsi quanto accaduto nel cuore, per non dimenticarlo mai e per diffonderlo a quante più persone possibile, cosicché non svanisca mai la memoria dell'orrore, ma anzi esso rimanga sempre come vivido ammonimento per le generazioni future. A questo scopo sono utilizzati gli imperativi che ricorrono nel componimento (v. 10 "Considerate", "Meditate", "Scolpitele", "ripetetele": vv. 10,15,17,20). 
    La poesia si conclude con un terribile anatema, che tuttavia non costituisce tanto la maledizione del poeta a chi dimentica, quanto la profezia o previsione dell'inevitabile catastrofe che di nuovo si riverserà sull'umanità se non saprà imparare dagli errori del passato.
    Il linguaggio con cui il poeta mette davanti agli occhi del lettore l'evidenza della crudeltà umana è secco e diretto, e non concede nulla al lirismo: anzi le immagini sono dure e e potenti, sottolineate da una sintassi chiara e lineare.

    NOTE
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