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          Corre libero il vento per le nostre pianure,
          Eterno pulsa il mare vivo alle nostre spiagge.
          L’uomo feconda la terra, la terra gli dà fiori e frutti:
          Vive in travaglio e in gioia, spera e teme, procrea dolci figli.
    
      5  … E tu sei giunto, nostro prezioso nemico,
          Tu creatura deserta, uomo cerchiato di morte.
          Che saprai dire ora, davanti al nostro consesso?
          Giurerai per un dio? Quale dio?
    10  O ti dorrai, come in ultimo l’uomo operoso si duole,
          Cui fu la vita breve per l’arte sua troppo lunga,
          Dell’opera tua trista non compiuta,
          Dei tredici milioni ancora vivi?
    
          O figlio della morte, non ti auguriamo la morte.
    15  Possa tu vivere a lungo quanto nessuno mai visse:
          Possa tu vivere insonne cinque milioni di notti,
          E visitarti ogni notte la doglia di ognuno che vide
          Rinserrarsi la porta che tolse la via del ritorno,
          Intorno a sé farsi buio, l’aria gremirsi di morte.
    
    20 luglio 1960
    
    
    [In Poesia Italiana, 6 "Novecento", Gruppo Editoriale l'Espresso, Milano 2004, pp. 918-919]

    METRO
    Tre strofe, rispettivamente di quattro, nove e sei versi di lunghezza variabile.

    COMMENTO
    Questa poesia fu composta il 20 luglio 1960, circa due mesi dopo la cattura di Eichmann (uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista), avvenuta in Argentina nel mese di maggio da parte del Mossad, il servizio segreto israeliano istituito ufficialmente nel 1949. Eichman venne processaro, condannato a morte nel 1961 e giustiziato a Ramla il 31 maggio 1962.
    Nella prima strofa appare sulla scena l'uomo, il quale feconda la terra (che a sua volta gli restituisce fiori e frutti) e che procrea i suoi figli.
    Nella seconda appare lui: il "nemico" definito "prezioso" in quanto testimone, dato che partecipò come protagonista alla violenza cieca del genocidio del popolo ebraico pepretrato dal nazismo.
    Nella terza strofa viene espressa la condanna, apparentemente paradossale. Per il "figlio della morte" non viene infatti stabilita la pena di morte (come invece avvenne nella realtà), ma, in una sorta di contrappasso dantesco, viene formulato l'augurio ch'egli possa "vivere a lungo quanto nessuno mai visse", affinché possa trascorrere "insonne cinque milioni di notti", visitato e tormentato dal ricordo dei "cinque milioni" di vittime provocate dalla shoah (termine ebraico che significa «tempesta devastante», col quale si suole indicare lo sterminio del popolo ebraico durante il scondo conflitto mondiale).