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           Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo 
    Di gente in gente1, me vedrai seduto 
           Su la tua pietra, o fratel mio2, gemendo 
           Il fior de' tuoi gentili anni caduto. 
    
     5    La madre or sol, suo dì tardo traendo3, 
           Parla di me col tuo cenere muto: 
           Ma io deluse a voi le palme tendo4; 
           E se da lunge i miei tetti saluto, 
    
          Sento gli avversi Numi5, e le secrete 
    10   Cure6 che al viver tuo furon tempesta, 
           E prego anch'io nel tuo porto7 quiete. 
    
           Questo di tanta speme8 oggi mi resta! 
           Straniere genti, l'ossa mie rendete 
           Allora al petto della madre mesta. 
    
    
    [Sonetti, 10]

    METRO
    Sonetto con schema metrico ABAB ABAB CDC DCD.

    NOTE
    1 breve: di gente in gente: da un luogo all'altro (è una metonimia).
    2 O fratel mio: Il poeta si rivolge al fratello, Giovanni Dionigi, uccisosi a vent'anni l'8 dicembre 1801 a Venezia, sembra per debiti di gioco. Il sonetto riecheggia vari spunti catulliani dal carme CI, in cui Catullo parla al fratello morto, sepolo nella Troade.
    3 suo dì tardo: la vecchiaia.
    4 deluse... tendo: tendo invano le braccia verso di voi.
    5 gli avversi Numi: l'avversità del destino
    6 secrete | Cure: i più intimi, segreti affanni.
    7 porto: la morte.
    8 speme: speranza.