METRO
Sonetto con schema metrico ABBA ABBA CDE EDC.
COMMENTO
Questo sonetto, tra i più noti di Cavalcanti, celebra la bellezza della donna amata esi accompagna alla dichiarazione di impotenza da parte del poeta nel descriverla appieno, data la natura angelica e trascendente della figura femminile e la sproporzione rispetto alle limitate capacità umane dello scrittore. La bellezza della donna-angelo è tale che ogni uomo al solo guardarla ammutolisce, mentre la sua virtù più importante è l'umiltà, che la rende paradossalmente superiore a tutte le altre donne. L'amore diventa così esperienza religiosa e quasi mistica, anticipando tra l'altro il tema dell'ineffabilità della bellezza che sarà ripreso soprattutto da Dante, tanto nella Vita nuova quanto (su un piano più elevato) nel Paradiso.
Fin dall'inizio l'atmosfera del componimento è mistica, con l'incipit che ricorda il Cantico dei Cantici (8,5: quae est ista quae ascendit de deserto / deliciis affluens et nixa super dilectum suum?: "Chi è costei che sale dal deserto, / piena di delizie e appoggiata al suo diletto"?), mentre la donna è circonfusa di luce come un'aureola, che fa ammutolire tutti coloro che la guardano. Nella sua umiltà, ella risulta paradossalmente superiore a tutte donne, mentre la bellezza la indica come propria dea, cioè come una creatura sovrumana. L'incapacità di cogliere pienamente la bellezza della donna è di tipo filosofico, poiché la mente umana sembra inadeguata a penetrare sino in fondo a un mistero che proviene dalla grazia divina; perciò l'amore diventa un'esperienza affine al misticismo medievale, troppo profonda per essere espressa a parole.
NOTE
1 null'omo: nessun uomo.
2 quando... gira: quando volge intorno lo sguardo.
3 nol savria contare: non saprei dirlo, esprimerlo.
4 cotanto... mi pare: mi sembra una donna così umile.
5 ver' di lei: al suo confronto
6 i' la chiam'ira: la definirei sdegnosa, superba.
7 poria: potrebbe.
8 piagenza: bellezza (in senso morale).
9 la mostra: la indica, la riconosce pubblicamente.
10 Non fu... canoscenza: il nostro intelletto non fu mai così elevata, né ricevemmo un dono tale, che potessimo averne un'adeguata conoscenza.
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