ANALISI
L'avverbio della ripetizione con cui si apre la poesia (in francese "Souvent") colloca il lettore nella dimensione dell'ovvietà. Nessuno può aspettarsi, dopo un tale inizio, la descrizione di un evento irripetibile: e in effetti, l'evento descritto è una consuetudine, il ritorno di un gioco [appena divertente per chi lo conduce, ma piuttosto crudele per chi è costretto a subirlo]. Tuttavia, i movimenti e i gesti (dei marinai come dell'albatro) sembano fissati in una singolarità assoluta, tanto da apparire immobili, accaduti una volta soltanto e non più replicabili. In fondo c'è solo un albatro irriso e beffeggiato sulla nave: l'Albatros di Baudelaire.
Per tutta la composizione colpisce l'indeterminatezza dei soggetti dell'azione: sembra che l'unica identità degli hommes d'équipage - uomini senza volto - consista nella loro appartenenza alla nave: persino nei gesti dei beffeggiamenti e dell'insulto restano anonimi, insignificanti.
Nel secondo verso questi uomini tuttavia agiscono: catturano degli albatri. Ma si noti come il pur lieve enjambement - che unisce e insieme separa i marinai dal loro gesto (prennent) - fa convergere l'attenzione attorno ad albatros: è questa parola che si accampa al centro della rappresentazione; e il secondo emistichio - vastes oiseaux des mers - allontana lo sguardo dalla nave, dai marinai, e lo fa salire al cielo: guardiamo dunque le navire dall'alto, con la stessa prospettiva aerea degli albatri. Possiamo qui notare la figura dell'ipàllage: infatti l'apertura delle ali rende gli albatri vastes, un attributo che propriamente appartiene alla parola che segue, cioè a mers.
Gli uccelli seguono il vascello come indolents compagnons de voyage. L'immagine, grazie anche all'isolamento del sintagma, acquista una grande forza, adeguata alla sua importanza nel contesto generale della poesia. Intanto possiamo notare come la regolarità ritmica del sintagma - accenti su terza, sesta e nona posizione (conservati anche nella traduzione letterale in italiano) - rafforzi l'unità di senso, conferendo alla figura un movimento che sembra mimare il movimento delle grandi ali in volo: c'è insomma una semantizzazione del significante (il suono contribuisce all'icasticità dell'immagine). In secondo luogo, possiamo osservare che l'immagine degli albatri come compagni di viaggio suppone che lo sguardo del poeta si volga verso una natura nella cui essenza c'è anche il rapporto, cordiale e rispettoso, dei viventi tra loro e con le cose: ma sarà proprio la perdita di questa armonia della "physis" (natura), la rottura di questa fraternità creaturale ad essere rappresentata sulle planches della nave: l'esilio - dell'albatro, del poeta - è appunto esilio da una "physis" così intesa e da una solidarietà illusoria o smarrita.
Gli albatri baudelairiani col loro volo sembrano assistere, seppure indolents (ma sarà opportuno ricordare che nella prima stesura Baudelaire aveva scritto "curieux"), la nave che scivola sugli abissi. Il gesto dei marinai è pertanto un oltraggio a questa fedeltà di presenza, a questo indolente (o curioso) accompagnamento. Ma possiamo ancora notare che, essendo l'albatro un'allegoria del poeta, l'aggettivo indolents allude all'inutilità della poesia nella società borghese industrializzata e fondamentalmente utilitarista.
Quanto all'immagine del navire glissant sur les gouffres amers, notiamo che il secondo sintagma è una chiara metafora della condizione esistenziale dell'uomo contemporaneo, smarrito nello sprofondamento oscuro della coscienza, nel male oscuro di una interiorità insondabile.
Gli amari abissi riportano in basso lo sguardo del lettore. E infatti la seconda quartina ci riporta negli spazi scenici del primo verso della poesia, in quel crudele "divertimento" che ha come gesto iniziale la cattura degli albatri.
La seconda quartina si regge su una trama di opposizioni: il volo (interrotto) e la deposizione sul ponte, la sovranità dell'azzurro e la goffaggine dei movimenti, le grandi ali bianche spiegate nel volo e poi trascinate ai fianchi come fossero remi.
La deposizione degli albatri ha il carattere tragico e gratuito di una dissacrazione, di una profanazione. Ma la profanazione ha un legame segreto con la cosa profanata. Potremmo qui avventurarci nel non detto dei versi: ciò che l'azzurro significa (cioè l'altrove) e che gli albatri abitano con la libertà e la leggerezza del volo, è forse sostanza di un desiderio che assale i marinai. L'azzurro insomma è il profilo di un sogno, la figura di un dominio delle forze naturali.
Le grandi ali bianche dell'albatro catturato sono come remi inerti, trascinati ai fianchi. L'onda di senso dell'intera strofa si raccoglie intorno a quel traîner in cui l'ombra del volo è cancellata, e il cammino stesso è impedito. Non solo icona dell'impotenza, del corpo privo di movimento e di energia, ma anche emblema della prigionia e dell'esilio.
Nella terza quartina, i primi due emistichi dei primi due versi - Ce voyageur ailé / Lui, naguère si beau - sostengono, dall'alto del volo e della bellezza, lo sguardo sulla sopravvenuta abiezione. Il prima della caduta è presente - come dolente ricordo - nel tempo della miseria.
Con questa strofa, dallo stormo degli albatri si distacca un albatro, l'albatro di questa poesia, impedito nella libertà del volo. Quella del volo è una metafora chiara della fantasia, dell'immaginazione, comunque del libero scorrere dei pensieri [Si ricordi il pastore del leopardiano Canto notturno, che vedeva nel volo un lampo d'impossibile felicità: "forse, s'avessi io l'ale..."].
Ma se il volo è metafora di ciò che il poeta sperimenta nei pensieri e quindi nel linguaggio, quando i marinai mimano l'impotenza dell'albatro è l'impotenza umana che mettono in scena: mimano se stessi, l'assenza di ali e quindi di libertà che è in loro. Perciò la condizione di comicità non cancella nella figura dell'albatro la sua appartenenza a un "altrove", a quell'azzurro ora cancellato.
Nella strofa finale l'allegoria mostra il suo senso; la fine illumina il principio. È come l'albatro il poeta; l'uno e l'altro sono nella separazione, nello spaesamento; dicono la caduta nell'improprio, nella inappartenenza.
L'arcata che sostiene l'allegoria è una similitudine: e nella reversibilità dei due termini della comparazione, delle due icone, si rappresenta la solidarietà creaturale, la comune appartenenza allo stesso destino, alla stessa avventura. Sia l'albatro che il poeta raccontano le forme dello stesso evento: la caduta.
L'immagine del poeta, il suo ritratto romantico e infelice riempie di sé il nuovo paesaggio. Tuttavia l'immagine dell'albatro permane negli elementi prima negati e sacrificati: il volo, il dominio del cielo. Una sovranità che sostituisce all'azzurro le nubi e la tempesta. La comparazione congiunge in un solo verso le due sovranità, dell'albatro e del poeta: Le Poéte est semblable au prince des nuées.
All'albatro si è sostituito il poeta, ma nel ritratto della sua condizione permangono ancora gli elementi figuranti dell'albatro. Il poeta, infatti, è principe nel regno delle nuvole. Perciò in Albatros il cielo è complice del poeta, sua protezione: la terra, invece, è il luogo dell'esilio.
NOTA
La presente analisi deve parecchi spunti al bellissimo saggio di Antonio Prete: L'albatros di Baudelaire, Nuova Pratiche Editrice, Parma, 1994.
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