Se escludiamo l'avversione profonda e rancorosa di Schopenhauer, mentre Hegel era in vita ebbe una schiera di ammiratori. Alla sua morte, però, i suoi discepoli si divisero in due scuole, denominate Destra e Sinistra hegeliane, dal nome tradizionale dei due schieramenti presenti nel parlamento francese. Della prima (che comunque non riveste una grande importanza sul piano filosofico) facevano parte i più vecchi discepoli di Hegel; la seconda era costituita dai cosiddetti giovani hegeliani, tra i quali spiccano i nomi di Feuerbach, Stirner e Marx.
Pur giungendo a conclusioni radicalmente diverse da quelle formulate da Kierkegaard, anche Ludwig Feuerbach (1804-1872) rivendicò il ruolo e il valore dell'uomo concreto, sensibile, reale. Ma la sua celebre frase:
non va intesa come testimonianza di un materialismo gretto e volgare, bensì come la convinzione che la filosofia deve partire dalla natura e dai bisogni dell'uomo per poi giungere alle costruzioni concettuali. Su questa base Feuerbach giunse a vedere nelle pretese proprietà di Dio (potenza, sapienza, bontà, amore...) nient'altro che una proiezione delle proprietà dell'uomo portate alla perfezione. E per questa concezione adoperò il concetto hegeliano di alienazione (o estraneazione), secondo cui - come ha detto egregiamente Carlo Sini - "l'oggetto non è altro che l'estrinsecarsi del soggetto; l'oggetto non è che l'essenza del soggetto che si è rivelata fuori di sé". Per questo Feuerbach disse che il segreto della teologia è l'antropologia. A differenza di Feuerbach, che bene o male trova sempre un suo spazio, Max Stirner (1806-1856), viene spesso trascurato o ignorato nei manuali di filosofia. Nell'opera L'Unico e la sua proprietà, pubblicata nel 1844, Stirner afferma che l'individuo è l'unica realtà che abbia valore. E sulla base di questo assunto attacca non solo gli oggetti trascendenti della metafisica tradizionale (Dio, l'anima, l'aldilà) ma anche i valori immanenti riconosciuti dal pensiero moderno (stato, società, umanità). Questa concezione pone Stirner fra i padri dall'anarchismo moderno, ed insieme spiega le ragioni della scarsa considerazione in cui egli viene tenuto da parte di molti studiosi, i quali aderiscono quasi sempre ad una certa ideologia. Il più giovane dei "giovani hegeliani", Karl Marx (1818-1883), dichiarò di aver tratto molto da Hegel, a partire dal metodo dialettico, ma al tempo stesso ne capovolse l'idealismo affermando che il mondo dello spirito (cioè la sovrastruttura: filosofia, diritto, arte, religione...) non è che il riflesso dell'organizzazione materiale della società (cioè la struttura: mezzi di produzione, sviluppo tecnico, ripartizione dei beni, rapporti fra le varie classi). Questa concezione è nota col nome di materialismo storico ed ha avuto un influsso notevole sin dal suo apparire, sia in ambito filosofico che nelle concrete vicende storiche, anche se ai nostri giorni essa è caduta in discredito: un po' per il crollo del regime sovietico (che in qualche modo a Marx si ispirava), un po' per l'attuale impennata spiritualistica della cultura new-age, ma soprattutto per l'incomparabile quanto incomprensibile influsso esercitato a livello di senso comune dal cav. Silvio Berlusconi (il quale è tenacemente abbarbicato alla puerile e anacronistica abitudine di tacciare di "comunismo" qualunque opinione, giudizio, intervento, obiezione, commento che non corrisponda alla sua imprendibile concezione del mondo)... Ma torniamo a Marx per citare una delle sue frasi più celebri e (per alcuni) allarmanti:
E per cambiarlo, egli spiega, non si deve restare (nemmeno per criticarlo) a livello dell'ideolgia e della sovrastruttura. Se il vero soggetto della storia non è l'Idea o lo Spirito, bensì la produzione economica, è quest'ultima che bisogna comprendere e attaccare per produrre un mutamento effettivo e radicale della società e, di conseguenza, della vita umana. Sulla base della sua concezione dialettica, Marx affermò che la società borghese è un frutto necessario, ed anche provvisoriamente positivo, dell'evoluzione storica. Esso ha infatti liberato l'uomo dallo sfruttamento tipico dell'aristocrazia feudale, ma al tempo stesso, scrive Marx nel Manifesto del partito comunista, essa
L'epoca della borghesia ha insomma semplificato l'antagonismo tipico della storia riducendo il conflitto a due grandi classi: la borghesia e il proletariato (cioè la classe operaia). La lotta dei lavoratori, secondo Marx, avrebbe condotto il mondo a una nuova forma di società senza classi, e quindi senza più lotte: la società comunista. Questa profezia è ben lungi dall'avverarsi e sembra addirittura tramontata per sempre, ma ciò non dice ovviamente nulla sulla validità della prospettiva marxiana. Perché non è lecito misurare la validità di una teoria sulla base della sua realizzabilità pratica: a meno di non interpretare volgarmente l'identità hegeliana tra "reale" e "razionale" e, di conseguenza, ritenere validissima un'infinità di scempiaggini... |