• Abbiamo detto che il maggior contributo di Kant alla filosofia sta nella distinzione tra noùmeno e fenomeno: pur limitando la conoscenza al mondo fenomenico (cioè a come il mondo è "per me"), egli affermava dunque l'esistenza del noùmeno, ossia dell'inconoscibile. La contraddizione è dunque evidente: se il noùmeno è inconoscibile, come se ne può affermare l'esistenza?
    Proprio da questo problema prese spunto l'idealismo tedesco, che si sviluppò in contrapposizione a Kant. La posizione kantiana è infatti una forma di realismo, in quanto afferma che le cose sono indipendenti ed esterne rispetto alla nostra conoscenza che l'uomo può averne. L'idealismo consiste invece nella comprensione della contraddittorietà del concetto kantiano di noùmeno e nella conseguente negazione dell'esistenza di qualcosa di esterno e indipendente rispetto al pensiero.




    Il primo grande esponente dell'idealismo tedesco fu Johann Gottlieb Fichte (1762-1814), il quale definì dogmatica la posizione di Kant perché, accogliendo l'esistenza della cosa in sé, si affidava ad un principio estraneo alla coscienza. Dalla coscienza, o meglio dall'autocoscienza, secondo Fichte, bisogna invece partire per cogliere o stabilire l'atto originario da cui dedurre tutta la realtà: a tale compito è dedicata la Dottrina della scienza, apparsa in prima edizione nel 1794.
    Allo scopo di dimostrare l'originarietà dell'autocoscienza, che egli chiama Io puro, Fichte muove da una critica del principio di identità (per il quale "A = A"), che la filosofia tradizionale aveva posto a base di qualunque conoscenza. Fichte osserva invece che tale principio implica un principio ulteriore che è appunto l'Io, in quanto senza l'identità dell'Io ("Io = Io") l'identità logica ("A = A") non si giustifica. In altre parole, il principio di identità è posto dall'Io, che non potrebbe porlo se prima non ponesse se stesso. In conclusione, il principio supremo del sapere non è quello d'identità, poiché esso è posto dall'Io, bensì l'Io stesso. Da questo primo principio, Fichte ne deduce altri due, inaugurando la moda della triade dialettica, che costituirà una vera e propria ossessione dell'idealismo tedesco (oltre che lo spauracchio degli studenti d'ogni luogo e tempo). Vediamoli insieme:

    1. l'Io pone se stesso;
    2. l'Io pone il non-io;
    3. l'Io oppone nell'Io all'io divisibile un non-io divisibile.

    Questa specie di scioglilingua o rompicapo può illuminarsi di improvvisa luce se precisiamo che Fichte usa l'aggettivo "divisibile" per indicare ciò che è molteplice e finito (tu ed io, per esempio). Questo chiarimento lessicale ci permette infatti di dedurre che l'Io puro di Fichte è infinito... Quanto a dire in che cosa consista quest'Io puro, Fichte ondeggia fra due soluzioni: nella prima esposizione del suo sistema esso è infatti identificato con l'io stesso dell'uomo, mentre nelle successive elaborazioni diventa Dio o l'Assoluto con conseguente riduzione dell'uomo a sua immagine o riflesso.




    A differenza di Fichte, che la concepiva come puro non-Io, Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854) assegna alla natura uno statuto ontologico pari a quello dello spirito, e chiama quest'unità indifferenziata Assoluto [Notiamo per inciso che tale esordio richiama il concetto spinoziano di sostanza e più in generale il panteismo del grande filosofo olandese]. Scrive Schelling:

    La natura deve essere lo spirito visibile, e lo spirito la natura invisibile. Qui dunque, nell'identità dello spirito dentro di noi e della natura fuori di noi, deve risolversi il problema di come sia possibile una natura fuori di noi.

    All'idealismo soggettivo di Fichte si contrappone dunque l'idealismo oggettivo di Schelling, così denominato appunto per l'importanza da lui attribuita all'oggetto (cioè alla natura).
    Per Schelling, tuttavia, non spetta alla filosofia rendere conto dell'Assoluto, la conoscenza del quale è prerogativa di un sapere intuitivo, che viva di rivelazioni o illuminazioni. Tale, per Schelling, è l'arte in quanto sintesi di un momento inconscio (l'ispirazione), che avvicina alla natura, e di un momento conscio (l'esecuzione), che avvicina allo spirito. L'esaltazione romantica (e poi decadente) del valore dell'arte trova dunque in lui la sua più decisa e significativa espressione filosofica. Per questo motivo l'idealismo di Schelling, oltre che oggettivo, viene anche detto estetico.




    E passiamo all'ultimo rappresentante dell'idealismo tedesco, che è anche uno dei massimi filosofi di tutti i tempi: Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), il cui pensiero è compendiabile nella nota formula:

    tutto ciò che è reale è razionale, e tutto ciò che è razionale è reale.

    In questo breve enunciato la distinzione kantiana tra fenomeno e noùmeno è implicitamente ma completamente dissolta, ed è affermata con vigore l'idea che la realtà che appare alla coscienza è la stessa realtà in sé e non una semplice realtà soggettiva. Pensiero e realtà si identificano (per cui si parla quindi di idealismo assoluto), ed è per questo che Hegel assegna alla filosofia il compito di giustificare la realtà.

    La dialettica
    Ciò che soprattutto distingue la filosofia hegeliana dalle filosofie tradizionali è che l'identità tra il reale e il razionale si evolve secondo un processo che Hegel stesso chiama dialettica, basato sulla coincidenza degli opposti, nel senso che ogni elemento del processo è il punto di contatto (e quindi la coincidenza) fra ciò che non è più e ciò che non è ancora. Se non è chiaro, si pensi ad un fiore: esso, appunto, è il punto di contatto fra ciò che non è più (seme) e ciò che non è ancora (frutto). O se vogliamo pensare a noi stessi, sappiamo bene che oggi non siamo come eravamo in passato né come saremo in futuro...
    Possiamo ora generalizzare la struttura fondamentale della dialettica: assunta una tesi (essere), questa è negata da una antitesi (nulla), che a sua volta viene superata in una sintesi (divenire). Quest'ultimo momento (che è l'unificazione dei due momenti precedenti in una realtà superiore) costituisce a sua volta una nuova tesi; e così via, secondo uno schema molto complesso che conduce alla triade definitiva: l'Idea (tesi), la Natura (sintesi) e lo Spirito (sintesi).

    Tripartizione della filosofia
    L'Idea (o meglio l'Idea considerata "in sé e per sé") è oggetto d'indagine della Logica. La Natura (che è per Hegel l'Idea "fuori di sé", da non intendere come follia ma come proiezione dell'Idea stessa nel tempo e nello spazio) è oggetto della Filosofia della natura. Lo Spirito (cioè l'Idea che, dopo la sua alienazione, "ritorna in sé") è oggetto della Filosofia dello spirito.
    Si intuirà facilmente che, come lo Spirito (in quanto sintesi) è il più importante dei tre momenti strutturali dell'Assoluto, così la Filosofia dello spirito costituisce per Hegel la più importante delle discipline filosofiche. Ma consideriamole brevemente tutt'e tre...

    La logica
    Poiché per Hegel essere e pensiero coincidono, la logica non differisce dalla metafisica. Non a caso, infatti, il concetto dell'essere è il punto di partenza della logica hegeliana. All'essere (in quanto tesi) si contrappone il nulla (antitesi), la cui sintesi è data dal divenire (sintesi).
    Com'è ormai ovvio, lo studio dell'essere è integrato triadicamente dallo studio dell'essenza e dallo studio del concetto.

    La filosofia della Natura
    Anche la filosofia della natura si suddivide in tre parti: meccanica, fisica e fisica organica, secondo il solito crescendo per cui l'ultima è anche la più importante.

    La filosofia dello Spirito
    Ed eccoci alla massima espressione, secondo Hegel, della filosofia: quella che si occupa dello spirito. Anche in quest'ambito troviamo la solita tripartizione, in quanto lo Spirito stesso è suddiviso in Spirito soggettivo, Spirito oggettivo e Spirito assoluto.
    Lo Spirito soggettivo è lo spirito individuale, insomma del singolo uomo, del cui studio si occupano l'antropologia, la fenomenologia e la picologia.
    Lo Spirito oggettivo è quello che si manifesta nelle istituzioni storiche concrete (la famiglia, la società civile, lo stato), delle quali si occupano il diritto, la moralità e l'eticità.
    Lo Spirito assoluto è lo spirito che riassume in sé il Tutto, ovvero è l'Idea giunta alla piena coscienza della propria infinità e assolutezza. Esso coglie se stesso nelle forme dell'arte, della religione e della filosofia. Nell'arte questa consapevolezza si attua attraveso forme sensibili (parole, poesia, musica ecc.). Nella religione tale acquisizione avviene attraverso la forma della rappresentazione (che Hegel definisce come "metafore dei pensieri e dei concetti", e quindi come una via di mezzo fra l'intuizione sensibile e il concetto). Nella filosofia, infine, l'Assoluto acquista coscienza di sé in forma concettuale.
    A questo punto il processo dialettico s'interrompe. Il ciclo è compiuto. Ed Hegel si propone come il filosofo dell'Assoluto con una filosofia che, secondo lui, ha un valore definito ed assoluto. Ma molti non la penseranno così...