Nell'anno stesso della morte di Nietzsche, Sigmund Freud (1859-1939) pubblicò la sua opera più celebre: l'Interpretazione dei sogni, in cui sosteneva l'esistenza di una nuova "scena" dell'esperienza soggettiva che, da allora in poi, viene indicata con il nome di inconscio, e la cui presenza - come Freud mostrò nella Psicopatologia della vita quotidiana (1901) - si manifesta anche nella veglia attraverso i cosiddetti lapsus o atti mancati (cioè errori involontari del comportamento e soprattutto del linguaggio, all'apparenza banali e insignificanti ma che in realtà sono prodotti proprio dall'interferenza dell'inconscio sulle intenzioni consce e che rivelano ciò che la coscienza tende a "rimuovere"). Affermando poi che l'inconscio non è leggibile mediante i criteri normali della razionalità, ma semmai attraverso una logica del desiderio che esige nuovi criteri (innanzitutto il metodo delle libere associazioni), Freud scardinava definitivamente - sulla scia di Nietzsche - i privilegi e l'autonomia di quel soggetto cosciente di sé che la tradizione filosofica aveva tramandato. La scoperta freudiana dell'inconscio fa appunto i conti con questa concezione di soggetto, sovvertendola completamente. Come certamente ricorderete, alcuni secoli prima Cartesio aveva detto: "Penso, dunque sono". Ma Freud, nell'Interpretazione dei sogni, si chiede: non esiste anche un "pensiero del sogno"? E dà a tale domanda una risposta affermativa: egli crede infatti di ricavare dai materiali onirici l'idea che esiste un pensiero del sogno diverso da quello che normalmente chiamiamo "pensiero". Per esempio, nel pensiero del sogno non funziona la logica fondata sul principio di non-contraddizione. Eppure il sogno (con il suo linguaggio) non è qualcosa che accade al di fuori dell'io, il quale è dunque qualcosa di diverso e più complesso di quel soggetto stabile e certo di sé di cui aveva parlato, tra gli altri, Cartesio. I risvolti filosofici di questa concezione sono evidenti, e possiamo riassumerli in una domanda: come è possibile, per un soggetto inteso in senso freudiano (cioè non in grado di conoscere oggettivamente nemmeno se stesso), giungere a una conoscenza precisa ed esauriente? La domanda è retorica e, implicando una risposta negativa, rinvia a un atteggiamento relativistico, tipico del resto (dopo Nietzsche) di gran parte della filosofia e della cultura contemporanea in genere. L'essenziale su Freud è stato detto, ma è giusto ricordare che in una fase più matura del suo pensiero (a partire dal 1920) egli sostituì alla scomposizione della personalità psichica in conscio/preconscio/inconscio (prima topica) una seconda topica, riassunta nell'incompiuto Compendio di psicoanalisi (1938) e articolata in Es/Io/Super-Io. Quanto alla prima topica, abbiamo già detto della coscienza e dell'inconscio, e ci resta da puntualizzare che col termine preconscio Freud intende qualcosa che non è attualmente presente alla coscienza, ma che può tuttavia facilmente riaffiorare (mentre l'inconscio propriamente detto, come sappiamo, è un'istanza psichica che non solo determina gli atti di coscienza, ma di fronte a cui la coscienza molto spesso non ha alcun potere). Nella seconda topica, col termine Es Freud fa riferimento alla parte oscura, inaccessibile della nostra personalità. Essa ignora le leggi del pensiero logico; ciò che regola i suoi processi è la ricerca della soddisfazione degli istinti primari (pulsioni). L'Es non conosce in alcun modo la distinzione tra bene e male, né tanto meno giudizi di valore morale. L'Io è quell'istanza della personalità che ha il compito di mediare gli impulsi dell'Es, che vogliono essere soddisfatti a tutti i costi (principio di piacere), con i comandi del Super-Io (di cui diremo subito), sulla base delle esigenze della realtà (principio di realtà). Infine il Super-Io, cioè la terza istanza psichica dell'individuo, svolge la funzione di coscienza morale, di formazione di ideali. Esso è l'erede del complesso edipico, e nasce come interiorizzazione dei divieti espressi dai genitori. Nella situazione edipica il bambino prova, come sentimenti di base, odio per il genitore dello stesso sesso e amore per il genitore di sesso opposto, ma questi sentimenti sono anche accompagnati da una forte ambivalenza. Superare questa complessa situazione emozionale implica una regolamentazione dei propri impulsi, nella quale i genitori svolgono una funzione di autorità e di coscienza morale. Tale funzione trova però una sistemazione nella personalità del bambino, che da solo impone a sé divieti, regole e punizioni. Qui è dunque da ritrovarsi la genesi del Super-Io, il cui compito è soprattutto quello di tenere a freno l'odio e la distruttività, trasformandoli in senso di colpa e autopunizione. Possiamo chiudere su Freud ricordando che in un testo del 1920, Al di là del principio di piacere, egli tratteggiò una concezione dualistica e antagonistica delle pulsioni fondamentali che animano la vita dell'uomo: alle pulsioni legate al principio di piacere (che comprendono le pulsioni sessuali e le pulsioni di autoconservazione) Freud affiancò infatti le pulsioni di morte, le cui manifestazioni hanno il carattere della distruttività e la cui meta è far regredire l'organismo individuale a uno stato inorganico. La visione che si dispiega in quest'opera è, così, profondamente tragica, ma in essa si incontrano alcune delle pagine più dense e affascinanti che Freud abbia mai scritto, perché il problema concerne in definitiva il significato della vita e della morte. |