Il Rinascimento aveva portato in primo piano l'interesse per la matematica. Una seconda grossa questione che interessò i pensatori post-rinascimentali fu l'importanza del metodo. Francesco Bacone (1561-1626) sottopose a critica serrata la teoria sillogistica di Aristotele, sostenendo che una vera conoscenza deve basarsi sull'esperienza e sull'osservazione. Proprio per questo intitolò la sua opera fondamentale Novum organum, in contrapposizione all'Organon (cioè agli scritti logici) di Aristotele. Secondo Bacone si può giungere alla conoscenza della natura attraverso la formulazione di ipotesi da sottoporre poi al vaglio sperimentale. Ma prima di far questo occorre sgombrare il campo dagli errori o pregiudizi più comuni, che impediscono all'uomo di osservare la natura con mente pura e libera, e che Bacone chiama idola. In questo lavoro di demolizione consiste la prima parte (pars destruens) del metodo baconiano. Nella seconda parte (pars costruens) del libro viene enunciata la teoria dell'induzione, che differisce da quella aristotelica perché al posto del ragionamento Bacone sostituisce appunto l'esperimento. Inoltre Bacone previde con largo anticipo che la scienza sarebbe stata un potente fattore di trasformazione sociale. Nell'altro suo capolavoro, Nuova Atlantide, immaginò una società pacifica e giusta, liberata dai pregiudizi e dall'ignoranza; ma al tempo stesso intuì che la scienza costituisce un potenziale pericolo se non è guidata e sorretta da saldi princìpi morali. Come Bacone, anche Galileo Galilei (1564-1642) intese eliminare ogni pregiudizio derivante dall'influsso di Aristotele, o meglio dal principio d'autorità (l'ipse dixit) che gli aristotelici proclamavano in ossequio al maestro. Con Aristotele, infatti, Galilei ammette che l'esperienza va considerata come la fonte di ogni conoscenza, ma l'induzione galileiana si differenzia da quella aristotelica poiché, per eliminare ogni interferenza del soggetto, Galilei distingue tra qualità oggettive o primarie (figura, grandezza, movimento) e qualità soggettive o secondarie (colore, sapore, odore, ecc.). Solo le prime ineriscono realmente agli oggetti; le seconde sono dovute a modificazioni dei nostri sensi e pertanto non riguardano i corpi. Questa distinzione porta Galilei a concludere che solo le qualità oggettive sono accessibili a una conoscenza scientifica, mentre l'essenza metafisica delle cose, restando al di là dell'esperienza, resta anche al di là della conoscenza scientifica. Quanto al metodo galileiano, possiamo riassumerlo in questi termini: 1. osservazione del fenomeno e sua traduzione in termini numerici (per la legge di gravità, ad esempio, una volta osservata la velocità dei gravi, risulta che essa è direttamente proporzionale al quadrato dei tempi); 2. elaborazione di un'ipotesi, desunta dal rapporto numerico stabilito; 3. verifica dell'ipotesi formulata in astratto mediante esperimenti. Se questi danno un esito positivo, l'ipotesi si trasforma in legge; altrimenti si ricomincia daccapo. Proprio in virtù del metodo sperimentale Galilei è considerato il vero fondatore della scienza moderna. Matematica e metodo si fusero nel pensiero di René Descartes, latinizzato in Cartesio (1596-1650), che viene considerato il fondatore della filosofia moderna nonché uno dei massimi filosofi di sempre. A Cartesio premeva innanzitutto stabilire che cosa siamo in grado di sapere; quindi per lui fu fondamentale la domanda sulla certezza della conoscenza, che egli pensò di risolvere per via razionalistica, basandosi sul concetto di evidenza. Così, dopo aver sistematicamente messo in dubbio ogni cosa, rintracciò quella che a lui parve la prima evidenza o certezza assoluta: vale a dire il pensiero, il cogito, l'io-pensante.. In ciò fu probabilmente influenzato da Agostino: difatti egli si accorse che poteva dubitare dell'esistenza di tutto, ma non della realtà dei propri pensieri. E riassunse questo fatto con uno degli slogan filosofici più celebri di ogni tempo, che egli scrisse sia in latino che in francese:
Da questa incrollabile certezza, attraverso la dimostrazione dell'esistenza di Dio (per la quale si servì del sostegno di Anselmo), giunse a stimare vera anche la realtà esterna, lasciando alla fine le cose esattamente come le aveva trovate. Anche in Cartesio, come in Platone, ritroviamo però un dualismo profondo tra spirito e materia, o (per usare i suoi termini) tra res cogitans (= "sostanza pensante") e res extensa (= "sostanza estesa"). Questi due aspetti contrapposti, secondo Cartesio, trovano la loro sintesi nell'uomo, in quanto composto di anima e di corpo (dunque di spirito e materia): e ciò grazie alla ghiandola pineale, organo posto pressappoco al centro del cervello. È ovvio che questa spiegazione, posto che sia accettabile e dimostrabile, non spiega il "come" dei rapporti fra le due sostanze. Comunque è superfluo sottolineare che, essendo Cartesio un razionalista, tra le due sostanze la prima è per lui superiore alla seconda: il pensiero è superiore alla realtà, l'anima ha più valore del corpo. Alla soluzione di tale problema si dedicarono alcuni pensatori successivi, come Arnold Geulincx (1623-1669) e Nicolas Malebranche (1638-1715), per i quali si parla di occasionalismo. Accettando il dualismo cartesiano, e partendo dal presupposto che le due sostanze (in quanto di natura diversa) non possono interagire, gli occasionalisti videro in Dio la vera origine di ogni azione e di ogni conoscenza: sarebbe Dio, insomma, che in "occasione" di una modificazione corporea produce in noi una sensazione, e in "occasione" di una nostra volizione produce nelle cose materiali il movimento corporeo. In tal modo, però, l'uomo vede clamorosamente ridotto il suo libero arbitrio. E ciò, tanto più se fosse dimostrabile, rattrista non poco, anche se assolve la nostra coscienza (se potessimo parlare ancora di coscienza) da ogni rimorso o senso di colpa. A differenza di Cartesio (e degli occasionalisti), Thomas Hobbes (1588-1679) non distingueva fra spirito e materia: per lui tutta la realtà è materiale, e come tale comporta l'estensione. Il meccanicismo riservato da Cartesio alla res extensa viene dunque da Hobbes esteso a tutta la realtà, per la quale vige in maniera assoluta il principio di causalità. Ma Hobbes è noto soprattutto per la teoria politica espressa nel Leviatano. Partendo dal presupposto del fondamentale egoismo umano, egli si fa propugnatore di uno stato assolutistico, che abbia come scopo quello di mantenere l'ordine e la tranquillità fra i sudditi, altrimenti destinati alla reciproca aggressione. Perché
cioè "l'uomo è lupo per l'uomo" [Altro che scimmia!]. |