Dal greco metà tà physiká (= "dopo le cose della natura"), questo termine ha un'origine puramente accidentale. Esso infatti fu usato da Andronico di Rodi che, ordinando gli scritti di Aristotele, collocò quelli in cui il filosofo trattava delle cause prime della realtà "dopo" (metà) quelli che trattavano delle cose naturali, fisiche (physica). Di qui il significato che poi ha preso il termine M., come indagine su ciò che è al di là di ciò che appare nell'esperienza, ovvero l'essenza intima della realtà.
Poiché "vedere" ciò che sta oltre la natura non è come contemplare la natura (tutti concordano, ad esempio, nel distinguere un albero da una stella), nella storia della filosofia si presentano più metafisiche. Tipologicamente, quantunque siano tutte accomunate dall'ambizione o pretesa di fare un discorso unico intorno alla totalità del reale, è possibile anzitutto distinguere fra:
- metafisiche immanentistiche
- metafisiche trascendentistiche.
Le prime ricercano la spiegazione ultima della realtà all'interno del mondo dell'esperienza, e si possono ulteriormente distinguere in: a) metafisiche naturalistiche, che riconducono tutte le cose a qualche elemento naturale, senza una differenziazione tra materia e spirito (ad esempio gli ionici, Eraclito e, in forma più sofisticata, Spinoza); b) metafisiche materialistiche, che appunto riducono ogni cosa esistente a un principio materiale (Democrito, Helvétius, Spencer); c) metafisiche idealistiche, che risolvono l'intera realtà in un principio spirituale, come l'idea o il pensiero (l'idealismo tedesco in genere, Bradley).
Le seconde ricercano invece tale spiegazione in un ambito esterno alla realtà, e dunque non riconducibile al mondo dell'esperienza. Pertanto, a rigor di logica, solo per esse risulta etimologicamente appropriato il termine "metafisica", anche se ormai è consuetudine usarlo anche per il primo tipo.
Anche per quanto riguarda le metafisiche trascendentistiche si possono distinguere diversi tipi, a seconda di come viene concepita la trascendenza. Da un lato troviamo le metafisiche della partecipazione, per le quali la realtà dell'esperienza, appunto, "partecipa", anche se in modo imperfetto, del carattere del principio trascendente (ad esempio Platone, Plotino, Tommaso). Vi è poi il tipo costituito dalle metafisiche dell'esperienza, che sottolineano i caratteri tipici dell'esperienza - quali la molteplicità, il divenire, la precarietà - proprio per dedurre la necessità del principio trascendente (Aristotele, Agostino, Anselmo).
Nonostante il parere di Aristotele, che la chiamava "filosofia prima" e la considerava la scienza teoretica suprema, alla M. non sono mai state risparmiate critiche, più o meno violente, riguardanti la sua infondantezza e persino la sua inconsistenza sul piano linguistico. Tra le principali correnti anti-metafisiche possiamo ricordare la sofistica, lo scetticismo, il positivismo; e tra i grandi pensatori Guglielmo di Ockam, Hume, Kant, Nietzsche.
Malgrado tali critiche, la M. continua ad esistere. Come ha osservato Enrico Berti, una prima ragione di tale sopravvivenza è indubbiamente costituita dal riconoscimento dei limiti della conoscenza scientifica, da parte degli stessi scienziati (ad esempio Heisenberg, Morin, Piaget, Monod). Una seconda ragione (condivisibile soprattutto da parte dei credenti) è probabilmente l'esigenza di verificare la possibilità "logica" della fede. Una terza ragione (condivisibile anche dai non credenti) è l'intimo bisogno, che ogni uomo avverte, di dare un senso alla vita. Un'ultima ragione di questa sopravvivenza, soprattutto ai nostri giorni, è la necessità di fondare l'etica, ovvero di individuare norme generali di comportamento in rapporto a una distinzione (tutt'altro che facile da operare) tra ciò che è bene e ciò che è male.
Tutte queste ragioni non dimostrano certo la legittimità della M., ma ne segnalano l'esistenza di fatto e (data la loro problematicità e complessità) fanno prevedere per essa ancora una lunga, lunghissima vita.
|