• Il termine E., di origine greca (áisthesis = "sensazione"), è stato introdotto in filosofia nel significato di "scienza del bello" soltanto nel Settecento, ad opera di Baumgarten. Così intesa, l'E. è entrata tardi nella filosofia perché in precedenza, nella speculazione greca, le tematiche relative all'arte facevano parte o della metafisica o di tecniche specifiche (retorica e poetica).
    Kant, nella Critica della ragion pura, usa ancora il termine nel suo significato originario di "dottrina della conoscenza sensibile": nella sezione intitolata Estetica trascendentale, difatti, egli studia quelle che sono le forme a priori dell'intuizione sensibile (estetica): lo spazio e il tempo. Nella Critica del giudizio, a proposito del giudizio di gusto o estetico, con riferimento all'arte e alla bellezza, egli adotta invece la terminologia di Baumgarten e definisce il bello come "ciò che piace universalmente e senza concetti".
    All'inizio della sua Estetica, poi, Hegel dichiara categoricamente: "Con questo termine noi escludiamo subito il bello naturale".

    La storia dell'E. presenta una grande varietà di definizioni di arte (e quindi di bello): Platone, ad esempio, la intese come imitazione, Aristotele come attività pratica, il Medioevo in genere come attività strumentale, il Romanticismo come creazione, Baudelaire come espressione con finalità autoreferenziali.

    Ma qui vorrei prendere in considerazione un problema che deriva da una confusione diffusissima e perciò inavvertita: quella del rapporto tra bellezza e piacere. Nulla illustra meglio tale confusione quanto il notissimo proverbio: "non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace", la cui assurdità è palese. A rigor di logica, infatti, bisognerebbe capovolgerlo dicendo: "non è bello ciò che piace, ma è bello ciò che è bello". Infatti, al di là di frasi ad effetto ma infondate (del tipo "la bellezza è negli occhi di chi guarda"), la bellezza è una categoria oggettiva, cioè inerente all'oggetto e derivante da (o consistente in) certe sue caratteristiche, mentre il piacere è una sensazione soggettiva, riguardante cioè la percezione dell'oggetto da parte del soggetto. Come potrebbe, altrimenti, uno stesso oggetto (mettiamo un quadro, o un bicchiere) piacere ad alcuni e lasciare altri indifferenti? E su questo duplice e contraddittorio effetto non c'è da discutere. Ma ciò che non si può proprio sostenere è che uno stesso oggetto sia nello stesso tempo, in sé, bello e brutto.
    Il problema sarà, caso mai: chi, e come, stabilisce ciò che è bello e ciò che è brutto? Ecco il difficile. Ed ecco perché esiste l'E.