Si riferisce all'omicidio di Pier Paolo Pasolini e a quello di Wilma Montesi (risale agli anni '50 e all'epoca aveva fatto molto scalpore).
Facendo il verso ai giornali, si parla di una storia "da dimenticare, ...da non raccontare, ...vestita di nero, ...da basso impero", e il ritornello ricorda che questa è una storia "per gente speciale"; come a dire che la gente normale deve tenersene fuori, non ha niente da imparare né da raccontare. I giornalisti avevano utilizzato questi tragici fatti con intenti speculativi; a loro Fabrizio e Massimo si rivolgono con sdegno: "cos'altro vi serve da queste vite / ora che il cielo al centro le ha colpite / ora che il cielo ai bordi le ha scolpite". [Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, p. 121] Io penso che il compito del poeta sia prendere spunto dalla cronaca, senza limitarsi a riprodurla. La canzone ha molti riferimenti alla realtà sulla fine di Pasolini, ma non è un documentario su di lui. A me e Fabrizio interessava realizzare qualcosa che si staccasse dai fatti e li osservasse, illuminando anche le reazioni della gente, la voglia di insabbiamento, le chiacchiere da parrucchiere sulla vita privata del poeta. Pasolini era una delle più lucide coscienze critiche del nostro paese Quanto ci mancano oggi i suoi scritti indignati, gli articoli anche ingenui e lunari, le sue proposte provocatorie! Ricordo ancora i titoli di qualcuno dei suoi articoli: "Paghiamo i maestri come i ministri" o "Aboliamo le tv"; le polemiche con l'amica Dacia Maraini o Moravia. La sua parte corsara, i suoi scritti civili, quello ci mancava e ci manca. (...) Si può dissentire su alcune opere di Pasolini, ma a essere fuori discussione è il suo coraggio, la sua caparbietà. Affrontava argomenti scomodi e tabù, soprattutto per quegli anni. Lui stesso era scomodo, anche per chi la pensava come lui, perché non era inquadrabile, né prevedibile. Era un comunista atipico, un cattolico atipico, un ribelle atipico, un uomo atipico [Massimo Bubola, in Massimo Cotto, Fabrizio De André raccontato da Massimo Bubola, Aliberti, Reggio Emilia 2006, pp. 61-62] È una canzone su commissione, forse l'unica che mi è stata commissionata. Mi fu chiesta da Franco Biancacci, a quel tempo a Rai Due, come sigla di due documentari-inchiesta sulle morti di Pasolini e di Wilma Montesi. In quel tempo, se non ricordo male, stavo cominciando a scrivere con Massimo Bubola l'ellepì che fu fu chiamato L'indiano (quello per intenderci che ha come compertina quel quadro di Remington che rappresenta un indiano a cavallo). E così gli ho chiesto di collaborare anche a questo lavoro. Ricordo che decidemmo tout-court di fare la canzone su Pasolini, e non tanto perché non ci importasse niente della morte della povera Montesi, ma per il fatto che a noi che scrivevamo canzoni, come credo d'altra parte a tutti coloro che si sentivano in qualche misura legati al mondo della letteratura e dello spettacolo, la morte di Pasolini ci aveva resi quasi come orfani. Ne avevamo vissuto la scomparsa come un grave lutto, quasi come se ci fosse mancato un parente stretto. Nella canzone comunque esiste una traccia di questa ambivalenza, cioè del fatto che ci si riferisce a due decessi e non ad uno solo. E lo si capisce nell'inciso quando canto: "Cos'altro vi serve da queste vita / ora che il cielo al centro le ha colpite". Come nasce una canzone? Direi che buona parte del senso e del valore della canzone sta prima di tutto nel suo titolo, cioè Una storia sbagliata, vale a dire una storia che non sarebbe dovuta accadere. Nel senso che in un clima di normale civiltà una storia del genere non dovrebbe succedere. E poi mi pare ci siano altri due versi che a mio parere spiegano meglio di altri il senso della canzone: "Storia diversa per gente normale / storia comune per gente speciale". Laddove per "normale" si deve intendere mediocre e poco civilizzato e per "speciale" normalmente, civilmente abituato a convivere con la cosiddetta diversità. Mi spiego meglio: per una persona matura e civile direi che è assolutamente normale che un omosessuale faccia la corte ad un suo simile dello stesso sesso. E assolutamente normale anche che se ne innamori. Dovrebbe esserlo anche per il corteggiato eterosessuale che mille modi di difendersi senza ricorrere alla violenza. Purtroppo la cultura maschilista e intollerante di un passato ancora troppo recente, ed allora ancora più recente di quanto non lo sia adesso, e che definirei un passato ancora recidivo, ha fatto credere alla maggioranza che il termine normalità debba coincidere necessariamente con il termine intolleranza. Ecco, un altro aspetto tragico che abbiamo voluto sottolineare nella canzone per la morte di Pasolini è quello legato ad una moda purtroppo ancora adesso corrente, e che si ricollega anche lei al clima di ignoranza e di caccia al diverso. E cioè il fatto che della morte di un grande uomo di pensiero sia stata fatta praticamente carne di porco da sbattere sul banco di macelleria dei settimanali spazzatura e non solo di quelli. Il verso "È una storia per parrucchieri" vuol dire che è una storia che purtroppo la si leggeva allora e ogni tanto la si legge ancora oggi sulle riviste equivoche mentre si aspetta di farsi fare la barba oppure la permanente. Questo è un po' in generale il senso della canzone. [Fabrizio De André, in Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 61-63] |