Il giudice Selah Lively
Storia di un uomo alto un metro e settanta, che diventa magistrato per sfogare il suo odio verso chi è più alto di lui, e per vendicarsi dello scherno altrui. F. De André, in C.G. Romana, Amico fragile. Fabrizio De André, Sperling & Kupfer, 19993, p. 81] Un giudice pone il problema etico della parola: le “battute della gente” e la “maldicenza” condannano l’uomo piccolo di statura a un isolamento rancoroso che lo porta ad appropriarsi di altre parole, quelle del codice, per condannare a sua volta. E. Alberione, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, 1997, p.106] Un giudice (Selah Lively nel libro di Masters) cerca nella propria professione la rispettabilità che si sente negata per la condizione di nano. Studia con la tenacia del livore e raggiunge una sorta d'onnipotenza terrena, diventando arbitro in terra del bene e del male. Condannare gli imputati è per lui la miglior vendetta verso la cattiveria di chi lo deride; ma una volta arrivato dall’altra parte, si accorge d’aver dimenticato di misurarsi con il giudizio di Dio. Così tutto il suo orgoglio si piega di colpo in una genuflessione, resa efficacemente dall'arrestarsi dell’allegro ritmo sostenuto del brano. (...) Da notare l'impeto di alcune espressioni, come quella celebre sul nano che ha il cuore troppo vicino al buco del culo; se guardiamo poi ai finali di strofa troviamo in successione: indecente, culo, male, Dio, a ribadire l'irriverenza nei confronti di un opprimente bigottismo. [Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, Tre Lune, Mantova, 1999, p. 75] Secondo capitolo sull'invidia, il più feroce perché sconfina nella vendetta del potere "che umilia chi l'ha umiliato". Selah Lively è un uomo piccolo (Lee Masters ci fornisce anche le misure: cinque piedi e due pollici, circa un metro e mezzo) e precisino, schernito per la sua statura ma anche per "gli abiti e gli stivali tirati a lucido". Si butta nelle preghiere e negli studi fino a diventare giudice per potersi finalmente vendicare delle angherie subite. "È un personaggio che diventa una carogna", spiega De André, "perché la gente carogna lo fa diventare. È un parto della carogneria generale". In qualche moto quel vendicatore con la toga viene compreso e "assolto" da De André, in quanto vittima della ferocia popolare espressa da uno dei versi più cattivi mai cantati: "È triste trovarsi adulti senza essere cresciuti / la maldicenza insiste, batte la lingua sul tamburo / fino a dire che un nano è una carogna di sicuro / perché ha il cuore troppo, troppo vicino al buco del culo". Un'immagine tutta farina di Fabrizio (alto circa un metro e ottanta) che, durante i concerti, si sentirà in obbligo di specificare: "Non ce l'ho con le persone piccole di statura. Anzi penso che siano più sane e intelligenti perché il sangue circola più velocemente in tutto il corpo, cervello compreso". Ma per il giudice quello dell'altezza diventa un cruccio sul quale ruota l'intera esistenza: "Fu nelle notti insonni, vegliate al lume del rancore / che preparai gli esami, diventai procuratore". Fino alla conclusione che sembra il rovesciamento dell'umiliazione a cui è sottoposto il giudice de Il gorilla. In questo caso la vendetta di Selah Lively può essere finalmente consumata: "E allora la mia statura non dispensò più buonumore / a chi alla sbarra in piedi mi diceva Vostro Onore / e di affidarli al boia fu un piacere del tutto mio". Con una meravigliosa riflessione che appiattisce l'intera umanità, alta o bassa che sia, al momento della morte: "Prima di genuflettermi nell'ora dell'addio / non conoscendo affatto la statura di Dio". De André e Piovani sistemano una marcetta in stile quasi siciliano, con chitarra pizzicata e, al posto dello scacciapensieri, un piffero che simboleggia le "maldicenze". È l'unico brano di Non al denaro non all'amore né al cielo che viene ripreso, e stravolto, nell'arrangiamento rock della Pfm mentre Morgan ne ripropone una versione disco, Yo Yo Mundi lo fanno teatrale e Pierangelo Bertoli lo rende morbido e melodico. Tutte curiosità: solo l'originale è autorizzato e capolavoro. [Federico Pistone, Tutto De André, Arcana, 2018, pp. 91-92] |