Sinàn Capudàn Pascià è la canzone di un arrivista, un arrampicatore sociale. È la storia di un marinaio genovese della fine del '400 che davanti a Tunisi si scontrò, insieme alla flotta della sua città, con i turchi e, invece di combattere, buttò la spada a terra. Si chiamava Cicala: in genovese Çigä. Dopo essere stato fatto prigioniero e messo ai remi, si convertì all'Islam e diventò lo stuoino del Bey, autorità religiosa e politica del mondo saraceno. Siccome aveva diciannove anni e pare non fosse disgustoso, gli toccò anche qualche lavoretto repellente. Pare che sia riuscito a diventare, attraverso i suoi servizi, Gran Visir e Serraschiere del Sultano di Costantinopoli. Qualcuno dirà che è un voltagabbana; e in effetti lo è, ma lui si difende: "Sì, chiamatemi pure rinnegato, ma tutto quest'argento, quest'oro, chi l'avrebbe fatto luccicare al sole? E questo, semplicemente per aver bestemmiato Maometto, al posto del Signore".
[Fabrizio De André, presentando il brano al Palasport di Treviglio, 24/03/1997] Ecco un esempio di come trasformare una sorte misera in un'occasione. [Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, p. 138] |