Sfida ed invidia sembrano i connotati salienti di questo brano costituito su schema anaforico, reiterando la stessa frase, in questo caso il titolo, ad ogni inizio verso.
[Matteo Borsani – Luca Maciacchini, Anima salva, Tre Lune, Mantova, 1999, p. 124] È letterariamente interpretabile come dialogo indiretto tra Faber e il suo carceriere durante il lungo sequestro da parte dell'anonima sarda: ma in un'accezione più ampia il testo finisce per acquisire una valenza simbolica generale in cui l'artista evidenzia divergenze e contraddizioni tra oppressi e oppressori: da un lato ci sono i popoli autoctoni e dall'altro coloro che ufficialmente rappresentano i poteri egemoni, descritti in maniera reiterata (attraverso le cose materiali che non si posseggono), con l'idea geniale del ripetuto ossessivo "quello che non ho" a cui segue un elenco dettagliatissimo. La song teatralizza la psicologia dei sequestratori, come se essi dicano, per usare le parole di De André: "A me non manca niente, ma perché mi devi mettere sotto il naso la villa con piscina, l'automobile, l'aereo privato? A questo punto ne crei il bisogno". Sembra che la frase reiterata "quello che non ho", che per assonanza ricorda il più o meno coevo Quelli che di Enzo Jannacci, sia presa da un discorso del priore dell'Eremo delle carceri (Assisi) a Massimo Bubola. Il pezzo viene introdotto da spari e rumori colti al magnetofono in una battuta di caccia al cinghiale in Gallura, quindi la voce parte in sordina, quasi unica, per essere sopraggiunta da accompagnamento elettrico in una scansione di proposito insistente dello shuffle chitarristico, talvolta sovrapposto al controcanto dell'armonica a bocca, mentre sull'epilogo arrivano pure le tastiere suonate dall'arrangiatore Mark Harris. Il pezzo alla fine è uno dei rari deandreani ad avere un ritmo chiaramente rock sia pur con forti venature rock-blues e country-rock. [Guido Michelone, Fabrizio De André. La storia dietro ogni canzone, Barbera, 2011, pp. 117-118] |