La solitudine favorisce la dimensione contemplativa nell'umiltà del proprio mestiere. Il pescatore di Le acciughe fanno il pallone si accinge ad approfittare del momento propizio per fare buon bottino, ma senza illudersi di ricavarne grossi guadagni. Più importante è riuscire, come gli zingari, a leggere il libro del mondo. Con una saggezza ingenua che ci ricorda il Servo pastore, individua la propria consolazione nello scorrere del tempo. L'attesa della pesca gli permette di osservare attentamente tutto ciò che lo circonda e che diventa per lui speciale: "ogni tre ami c'è una stella marina, c'è una stella che trema... ogni tre stelle c'è un aereo che vola... ogni tre notti un sogno che mi consola... ogni balcone una bocca che m'innamora".
[Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, p. 162] Di derivazione morale, cioè di coscienza collettiva o per meglio dire di cattiva coscienza collettiva è invece [cfr. Dolcenera: n.d.c.] la solitudine, l'emarginazione del pescatore di Le acciughe fanno il pallone, al cui desiderio fa contrasto la povertà e la povertà è a volte la conseguenza del vivere in una comunità che impone regole sbagliate, che non lascia all'individuo neppure lo spazio per poter assomigliare a chi da quelle regole trae vantaggio: perché il pescatore di acciughe le regole della società le accetta dal momento in cui il suo desiderio consiste nel portare all'altare una donna che possa così diventare sua moglie. Le accetta pur conoscendole, nell'affidarsi al sogno di strappare dalle fauci di un avido pesce grosso il mitico pesce d'oro pescando il quale il suo desiderio sarebbe appagato. [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, pp. 75-76] |