È un brano di Brassens (Le verger du Roi Louis), che Fabrizio adatta senza nulla togliere dell'atmosfera cupa e minacciosa del testo originale. Anzi, tale atmosfera viene rimarcata da un lugubre e leggero tamburo che preannuncia l'inevitabilità e l'arrivo del comune destino (vedi Cesare Pavese: "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi"). [...] La canzone, come il titolo, risulta scarna ed essenziale; il concetto principale è l'imminenza costante della morte, che in qualsiasi momento, silenziosa e implacabile, potrebbe piombarci addosso e rapirci. Per rendere più forte questo concetto, vengono confrontate, in cinque strofe, quattro categorie di persone, immaginando quale potrebbe essere per ciascuna di loro la reazione di fronte alla morte: la giovane e bella ragazza non avrà il tempo di accorgersi che la fine potrebbe essere nascosta nella caducità della sua bellezza; i ricchi prelati, i notabili e i conti si dispereranno perché saranno costretti ad abbandonare i loro agi, mentre per gli straccioni sarà una liberazione; anche il guerriero dovrà arrendersi di fronte a questa estrema nemica: non serve colpirla nel cuore perché la morte mai non muore.
[Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 36-37] Vanificazione di ogni ambizione, di ogni arroganza ma anche di ogni speranza, [la morte] non guarda in faccia a nessuno. Come 'a livella cantata da Totò, accomuna tutti, poveri e ricchi, sotto un metro di terra nel camposanto. [Romano Giuffrida - Bruno Bigoni, Fabrizio De André. Accordi eretici, pp. 29-32)] |