Il testamento di Tito, assieme ad Amico fragile, è la mia migliore canzone. Dà un'idea di come potrebbero cambiare le leggi se fossero scritte da chi il potere non ce l'ha. E' un'altra delle canzoni scritte con il cuore, senza paura di apparire retorico, e riesco a continuare a cantarla, ancora oggi, senza stanchezza.
[Fabrizio De André, Sotto le ciglia chissà, Mondadori (Oscar Saggi), Milano 2018, p. 35] "Tito ne aveva fatte di tutti i colori ma senza far male a nessuno, sicché alla fine era più innocente di quel Cristo col quale gli toccò di dover dividere la morte ricevendone in cambio un'astratta promessa di paradiso, là in quell'esiguo spazio sul Golgota che ancora oggi, duemila anni dopo, ci pesa addosso" [Fabrizio De André, in Cesare G. Romana, Amico fragile, p. 76] Tito, uno dei ladri crocefissi al fianco di Gesù, in una lunga confessione-meditazione passa in esame i comandamenti: ammette di averli violati tutti; ne emergono conclusioni di critica sociale e politica. Ad esempio, si può credere in un altro Dio senza essere malvagi; si può chiedere l’aiuto di Dio senza riceverlo; bisogna onorare il padre e la madre, ma solo se meritano rispetto (“quando a mio padre si fermò il cuore / non ho provato dolore”); non si devono commettere atti impuri, bensì procreare bambini destinati a morire di fame (“io forse ho confuso il piacere e l’amore, / ma non ho creato dolore”); non si devono desiderare né la roba né la donna degli altri, né gioire nei letti altrui (ma “l’invidia di ieri non è già finita: / stasera vi invidio la vita”). L’umana simpatia nei confronti di Cristo viene anche dal reietto: “io, nel vedere quest’uomo che muore, / madre, io provo dolore. / Nella pietà che non cede al rancore, / madre, ho imparato l’amore”. [G. Baldazzi - L. Clarotti - A. Rocco, I nostri cantautori, Thema editore, 1990, p. 114] La struttura musicale è semplice: la prima strofa è cantata con uno scarno ed essenziale accompagnamento, mentre in ciascuna delle successive si aggiunge uno strumento, fino al momento che precede l'ultima. A questo punto tutto si ferma per dare maggiore risalto al testo, che qui raggiunge il suo culmine: "Ma adesso che viene la sera... ho imparato l'amore". Prima la pietà di un uomo, un ladro, per un altro simile, ma innocente e così diverso da lui, poi l'espressione dell'amore più puro, della pietà che non cede al rancore, recuperando, dopo la critica, tutti i comandamenti in quello dell'amore che, anche secondo i vangeli canonici, li riassume tutti. [Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 68-69] Il messaggio evangelico vero e proprio, il suggellamento dei dieci comandamenti attraverso l'esperienza e la sofferenza in prima persona è affidato a Tito, il ladrone buono del Vangelo arabo dell'infanzia, che commenta i precetti divini nella forma, di nuovo, di un testamento. [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, Edizioni Associate, Roma, 19993, p. 136] Tito, dalla croce, elenca i dieci comandamenti: li ha violati tutti; ha nominato Dio invano quando inutilmente ha chiesto il suo aiuto, non ha onorato il padre e la madre perché non si sentiva di onorare il loro bastone, ha rubato ma per vuotare le tasche già gonfie di chi rubava in nome di Dio, ha fornicato ma non ha mai messo incinta una donna, dunque non ha creato dolore. Ha ammazzato, ma “guardatela oggi questa legge di Dio / tre volte inchiodata nel legno”. Ha desiderato la roba e la donna d’altri, ma solo perché non aveva né roba né donna. E ora, guardando quell’uomo che muore accanto a lui, scopre l’amore che non aveva mai conosciuto, né dagli uomini né da Dio. [C.G. Romana, Amico fragile. Fabrizio De André, Sperling & Kupfer, 19993, p. 78 Il testamento di Tito è un colpo inferto alla presunta eticità delle leggi, alla loro certezza di poter dividere con un taglio netto il bene dal male. Ma ciò non è, visto che Tito le leggi le ha infrante tutte senza commettere mai il male. Bisogna risalire all'Antigone di Sofocle per ritrovare una tale profonda antinomia tra leggi e Stato e religione e leggi naturali. Antitesi umana del Vecchio Testamento. [Roberto Vecchioni, in Volammo davvero (a cura di Elena Valdini), RCS Libri, Milano 2007, p. 171. Il testo riprende una lezione su De André, tenuta dal professor Vecchioni in diverse università italiane.] |