Attraverso questa stupenda figura di moderno antieroe - una specie di poeta o cantastorie a metà strada fra l'artista bohémien e il semplice clochard - De André intona un canto lieve e commosso alla libertà. Un canto ironico ed insieme struggente, nel quale il ripudio di un'esistenza tipicamente borghese non equivale a un'evasione di comodo, a una mancata assunzione di responsabilità, bensì al fermo proposito di scegliere da sé il proprio destino sottraendolo alle convenzioni e ai condizionamenti sociali. A tale riguardo, risultano illuminanti i vv. 17-18:
non si risenta la gente per bene
se non mi adatto a portar le catene
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Che costituiscono il punto nodale del componimento, con la pacata esortazione rivolta alla "gente per bene" di accettare o quantomeno tollerare un punto di vista contrapposto a quello generalmente condiviso.
Nell'iperbole scherzosa dell'incipit:
Senza pretesa di voler strafare
io dormo al giorno quattordici ore
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Non è racchiusa la causa, bensì la conseguenza del rifiuto di adattarsi a una vita monotona e ripetitiva, a cui indubbiamente si riferisce l'ostentata incapacità d'azione. Quel secco enunciato:
Ma non si sdegni la brava gente
se nella vita non riesco a far niente
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Non è infatti pronunciato nella prospettiva del "fannullone", bensì nell'ottica della voce corale (ch'è poi la voce pedante e conformista del buon senso comune, più o meno borghese), la quale fa da contrappunto lungo tutto il testo a quella, svagata e svogliata, del protagonista. A proposito del quale, stando a svariate testimonianze di amici e conoscenti, ma anche ad affermazioni dirette, si devono segnalare indubbi tratti autobiografici, seppure accentuati o esasperati per volontà di provocazione: la predilezione per la vita notturna, il "cantar storie".
Il nostro protagonista insomma è un poveraccio, ma lo è (sartrianamente, direi) per propria scelta. Egli ha anche "provato a lavorare", ma la sordida occupazione da sguattero era come una prigione per lui, perché:
l'acqua dei piatti non rispecchia la luna;
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e in più l'esigua rimunerazione aveva comportato "un tragico aumento" della fame. Meglio allora la libertà e la spensieratezza. Tanto più che, come a tutti gli uomini, anche a lui:
Perché l'amore (come la morte) non è prerogativa di alcuni: esso accomuna tutti gli uomini, suscitando tremori ed emozioni, al di là del suo esito più o meno fortunato. Così il fannullone si innamora, e si sposa; ma ben presto la donna, delusa dal trattamento riservatole o dalla fatuità con cui lo sposo affronta il suo nuovo stato:
Pensasti al matrimonio come al giro di una danza
amasti la tua donna come un giorno di vacanza
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Si allontana:
cercando fra la gente chi le offrisse tenerezza.
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Imprevisto e toccante il finale:
Lei tornerà in una notte d'estate,
l'applaudiranno le stelle incantate,
rischiareranno dall'alto i lampioni
la strana danza di due fannulloni.
La luna avrà dell'argento il colore
sopra la schiena dei gatti in amore.
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Imprevisto e toccante, ma incerto: sospeso fra sogno e realtà. Attesa senza soluzione. Speranza priva di certezza. L'uso del futuro, infatti, sta ad indicare che ciò che vien detto è ciò che il fannullone desidera si avveri. Ma il testo non dice se tale desiderio si tramuterà in realtà. Resta l'ottimismo di fondo del protagonista; e la morale che se ne può trarre, ovvero che la felicità sta nelle piccole cose: "una notte d'estate", "le stelle incantate", "la luna" argentata che posa "sopra la schiena dei gatti in amore". E ancora e soprattutto nell'amore, reale o sognato che sia, e non nel possesso di beni materiali o nella condizione sociale.
Tra le figure retoriche si segnalano un'iperbole: "io dormo al giorno quattordici ore" (v. 2), una metonimia: "che ridono fissandoti con vuoti sguardi bianchi" (v. 10), due similitudini consecutive: "Pensasti al matrimonio come al giro di una danza / amasti la tua donna come un giorno di vacanza" (vv. 31-32), e vari iperbati: "senza risparmio mi diedi da fare" (v. 14), "fu della fame un tragico aumento" (v. 16), "con affettuoso disprezzo gettato" (v. 28), "la luna avrà dell'argento il colore" (v. 45).
ASPETTI METRICI
Sei strofe di sei versi ciascuna, più una strofa finale di dieci versi.
Tutte le strofe, compresa l'ultima, hanno uno schema metrico a rima baciata, con la sola eccezione dei primi due versi che sono in assonanza atona: "strafare" / "ore".
Quanto al tipo di versi, la massima regolarità si registra nella strofa finale, in cui ricorrono tutti endecasillabi a minore. Nelle strofe I, III e V si alternano in vario modo endecasillabi e decasillabi, con l'eccezione del v. 15 che è un senario doppio. Anche il v. 30 è in pratica un endecasillabo perché l'iniziale "il" è legato per episinalefe (ovvero sinalefe a cavallo di due versi) a "cuore" del v. 29. Le strofe II e IV sono costituite prevalentemente da settenari doppi: metricamente ineccepibili, o con sinalefe centrale, o con primo emistichio sdrucciolo. La strofa VI presenta invece versi composti da settenari più ottonari.
[Giuseppe Cirigliano, Il "primo" De André, Emmelibri, Novara, 2004]
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