Elaborata su una ballata inglese del XVII secolo, che ha probabilmente origini storiche precise e di cui esistono varie versioni, questa canzone narra la storia di un amore infelice, perché uno dei due protagonisti dovrà morire.
Il giovanissimo Geordie ha infatti rubato sei cervi nel parco del re, macchiandosi così di un crimine gravissimo [sic!], per il quale viene condannato all'impiccagione con una corda d'oro, simbolo di raro privilegio per una morte decisa solo ed esclusivamente in nome della legge. Si tratta evidentemente di un imputato non ordinario, la cui condizione sociale alimenta nell'amata la speranza, se non di poterlo salvare, quantomeno di rinviarne l'esecuzione a quando sarà ormai vecchio:
Il messaggio della canzone – superfluo notarlo – è ovviamente in contrasto con le convinzioni dell'anarchico De André, al quale non serve esprimere un esplicito giudizio di censura sulla sproporzione fra il gesto compiuto dal giovane e la pena inflittagli. Il pianto d'amore e la toccante ma vana implorazione della donna sono più che sufficienti per la condanna morale della legge e, quindi, del potere. Nel complesso, il testo ha toni malinconici ma non tragici, perché sembra appartenere a una dimensione fiabesca. Il senso complessivo è molto semplice, ma non mancano le figure retoriche, fra cui spiccano due metonimie: "cuore" (= pietà) e "scettro" (= potere), entrambe al v. 21. Di facile lettura, inoltre, la metafora dell'"inverno" come vecchiaia (v. 19). Frequente il ricorso all'anafora, a cominciare dalla ripresa dell'intera strofa II come strofa di chiusura (seppur con lieve variazione lessicale nel verso iniziale), ma anche fra più versi: (vv. 9 e 10, 7 e 15, 8 e 16) o all’interno del singolo verso (v. 17). ASPETTI METRICI Il testo è costituito da sette quartine [la VII però ripete sostanzialmente la II] con versi di varia lunghezza fra cui spiccano il settenario doppio (versi iniziali delle strofe II, III, IV, VI, VII) e l'endecasillabo (terzo verso in tutte le strofe, eccetto la VI). Altrettanto libero il gioco delle rime, che sono per lo più alternate, come nelle strofe IV, V, VI, ma che spesso risultano assenti: come nella I (che presenta soltanto un'assonanza tonica ai vv. 2-3), o solo parziali: come nella II (in cui rimano solo i versi pari, anche se con essi è in assonanza tonica il primo verso) e nella III (dove rimano fra loro i versi dispari mentre i pari risultano, alla pronuncia, in assonanza tonica). [Giuseppe Cirigliano, Il "primo" De André, Emmelibri, Novara, 2004] BRACCONIERI, FORESTE, OPPOSIZIONE Nel poemetto "Piers Plowman" ("Pietro l'Aratore") di William Langland, scritto in medio inglese nel XIV secolo, vi è un famoso passo in cui un contadino si domanda come mai tutti i nomi di animali vivi siano inglesi, mentre quando vengono cucinati diventano francesi. Così l'inglese "pig", cucinato, diventa "pork"; il "calf" (vitello) diventa "veal" (francese antico "vel", moderno "veau"); il "deer" (cervo) diventa "cerf" (non più in uso nell'inglese moderno); e così via. La risposta è semplicissima: l'allevamento e la caccia servivano alle tavole dei re e dei ricchi; i quali re e ricchi, nell'Inghilterra di allora, parlavano francese. Per tre secoli, dalla conquista normanna di Guglielmo con la battaglia di Hastings fino al 1362, data meno nota ma che segna il ristabilimento ufficiale della lingua inglese (nel frattempo modificatasi enormemente in seguito all'influsso francese) come lingua di corte ed amministrativa, il francese è la lingua delle classi dominanti, mentre il disprezzato inglese è la lingua del popolo, delle classi più umili, dello "strato basso". Quelli, insomma, che gli animali li devono allevare per farli mangiare agli altri. E di quelli che non possono più andare a cacciare liberamente nelle foreste, per sfamarsi e sfamare le loro famiglie, perché nel frattempo una classe dominante ha importato la "nobile arte" della caccia come "sport" di élite, chiudendo le foreste ai poveracci e organizzando il proprio divertimento (che è anche forma di addestramento militare) con battitori, cani, cavalli e servi. Nasce così la "caccia di frodo", il bracconaggio; una cosa che nell'Inghilterra anglosassone prenormanna non esisteva assolutamente. E viene, da subito, sottoposta a leggi severissime. Le foreste, mezzo di sostentamento delle classi popolari non soltanto con la caccia, diventano luoghi di esclusiva proprietà del re e delle classi aristocratiche. Ancora in epoca elisabettiana, la maggior parte del territorio inglese è ricoperta da fitte boscaglie; logico, quindi, che in quella che, con tutti le cautele del caso, può essere definita "coscienza popolare", le foreste diventino un luogo di opposizione. E di durissima opposizione. Non è un caso che, sin dal XIV secolo, si parli di "guerra al bracconaggio". E non è un caso che nasca, forse su basi reali, la leggenda di Robin Hood (che nelle molte ballate tradizionali che lo riguardano, spesso viene definito con l'appellativo di "free hunter"). Le leggi che riguardavano l'esercizio della caccia divengono via via sempre più draconiane: vengono istituiti i guardiacaccia armati al servizio del re o del signore locale, ai quali viene data la facoltà di poter abbattere sul posto chi viene sorpreso a cacciare di frodo. Chi si recava a cacciare in una foresta per mangiare qualcosa rischiava quindi la vita. Si organizzano bande di cacciatori abusivi i quali, a volte, riescono a sopraffare i guardiacaccia e ad ucciderli nei modi più atroci (anche, naturalmente, per vendicarsi di trattamenti del tutto analoghi da parte dei guardiacaccia). Nasce così, nella foresta, come luogo di opposizione, la figura dell'"outlaw". Con un termine popolare antico, inglesizzato sì, ma di antica derivazione danese ("udlav"). E i signori si trovano a malpartito, ad esprimere tale termine in francese. Rimane in inglese. Gli outlaws parlano soltano la lingua bassa e hanno nomi da bovari, da porcari, da servi. In un manoscritto del 1450 circa viene tramandata una ballata che è tra le più antiche testimonianze scritte della guerra al bracconaggio. Riporta, sia per argomento che per linguaggio (un inglese medio arcaicissimo e di difficilissima comprensione), avvenimenti anteriori almeno di un secolo e mezzo alla sua trascrizione in manoscritto. Vi compare un "Robyn", ma non è Robin Hood; è un giovane che si reca a cacciare di frodo, con arco e frecce, nella foresta in compagnia dell'amico, o servitore, Gandeleyn. Nomi anglosassoni ("Robyn", come viene dichiarato espressamente nel testo della ballata, è il diminutivo di "Robert"). Avvistano un branco di cervi e Robyn ne stende uno, finendo però immediatamente abbattuto da un guardiacaccia, tale Wrennock of Donne. Anche Wrennock è un nome anglosassone; il che fa vedere bene che molta gente del popolo si poneva al servizio del potere, sempre per mangiare, e sempre rischiando la pelle. Niente di nuovo sotto il sole. Tra i poveri c'è chi si mette contro la legge del potente, e chi si mette al servizio di essa. Il bandito e il carabiniere. Wrennock of Donne finisce poi a sua volta abbattuto da Gandeleyn, che vendica così l'amico schernendo il cadavere del guardiaccia. È una ballata assolutamente terribile e lugubre, che non ha assolutamente niente dell'atmosfera "romantica" che poi è stata attribuita ad alcuni di questi componimenti (ma anche nelle ballate di Robin Hood ritenute più "giocose" fanno capolino episodi che del giocoso non hanno niente, testimoniando così della loro vera ed antica origine). Nel ritornello, che nel testo originale suona: "Robyn lyth in grene wode bowndyn" (in inglese moderno: "Robin lies bound in the green wood"), si intravede forse il costume di legare il cadavere del bracconiere abbattuto ad un albero, in modo che le bestie potessero divorarselo. Forse qualcuno avrà immaginato che sto scrivendo tutto questo qui dentro a causa di un altro bracconiere, più noto agli amatori di De André. È, anch'egli, un bracconiere inglese; si chiama Geordie e le sue vicende sono note. De André traduce (molto bene) da una ballata da "broadside" (foglio volante) settecentesca, ballata nella quale vicende più antiche della guerra al bracconaggio si incrociano con un'altra guerra, quella sullo "Scottish Border" che vide protagonisti i clan giacobiti e le truppe inglesi tra il XVI e il XVII secolo (e che diede ovviamente origine a tutta un'altra tradizione di "outlaws", ed alle relative ballate). La "Geordie" originale racconta una vicenda completamente diversa (e con un happy end); su di essa si dev'essere innestata quest'ultima testimonianza della guerra al bracconaggio, una sua eco assai tarda, dato che nell'Inghilterra del XVIII secolo le leggi sulla caccia di frodo erano state attenuate, e non di poco. Ma qualcosa doveva essere rimasta nella coscienza dei fruitori di tali canzoni popolari. La "Geordie" settecentesca, secondo quanto scrive Francis James Child, veniva venduta agli angoli delle vie di Londra per un penny. La triste vicenda del giovane bracconiere che viene condannato all'impiccagione con la "golden chain" (un'assurdità: nessuno veniva mai impiccato ad una catena, né d'oro né d'altro metallo meno nobile) con la giovane sposa (già madre di un paio di "pretty babies" ed incinta del terzo) che si reca ad implorare a corte per la sua vita, sembra che abbia avuto un successo clamoroso: "The broadside was sold out in three days and had to be continuously reprinted", scrive il Child. Nella ballata si vedono tutte le stratificazioni dei secoli, nelle quali però la memoria di quel che era stata davvero la guerra al bracconaggio "lingers on". Il bracconiere (che ruba non sei, ma addirittura sedici "King's royal deer") non viene più abbattuto sul posto, ma viene trascinato in galera e davanti a un tribunale, dove l'inflessibile giudice lo condanna al capestro nonostante le suppliche della fanciulla innamorata. Il Geordie settecentesco, però, non va più a caccia per mangiare direttamente la preda, ma per venderla al mercato di un paesino ("Bohenny" del testo originale è forse il paese di Bohenie, nella contea di Pitlochry); qui De André si dev'essere trovato un po' a malpartito nella traduzione, con quel "vendendoli per denaro" un po' buttato là. Sfogliando i codici settecenteschi inglesi sul bracconaggio, ci si accorge che un bracconiere poteva allora, al massimo, essere condannato a qualche mese di galera o a qualche frustata; ma, sempre secondo il Child, gli acquirenti in massa della ballata non ci stettero sopra a ragionare. Poiché le "broadside ballads" trattavano usualmente di avvenimenti di cronaca (nera, e nei modi più splatter possibili; una vera e propria "Cronaca Vera" dell'epoca), più d'un londinese cominciò ad inveire contro chi condannava a morte un ragazzo per avere rubato dei cervi e, il 17 agosto 1748, si rischiò una mezza rissa quando un assembramento "pro-Geordie" venne sciolto con la forza vicino al Blackfriars Bridge (proprio quello dove fu ritrovato il cadavere del banchiere Calvi, insomma). Insomma, tutti ancora trovavano del tutto normale che un bracconiere potesse essere messo a morte; e questo la dice lunga su quel che dev'essere stata la guerra al bracconaggio. Insomma, ecco, dietro quella canzone di De André ci sono tutte queste cose. Così, almeno spero, per ascoltarla meglio e per non perdere la memoria che sta dietro ad ogni storia. [Riccardo Venturi. L'articolo, qui pubblicato per gentile concessione dell'autore, è apparso originariamente nella Mailing List fabrizio@yahoogroups.com in data 15/04/2007] |