Si può definire sinteticamente questo brano come una denuncia di stampo politico o, come è stato variamente scritto, "un impietoso quadro dello Stato attuale" (L. Pestalozza, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, Milano, 1997, p. 178), una "icona dello sfascio italiano e del melmoso tramonto della prima Repubblica" (F. De Giorgi, in idem, p. 84), "un durissimo attacco al malgoverno e ai favoritismi nella pubblica amministrazione" (M. Borsani - L. Maciacchini, Anima salva. Le canzoni di Fabrizio De André, Tre lune, Mantova, 2000, p. 146).
Don Raffaè è un capo camorrista, sottoposto ad un maxiprocesso, che gode della stima della guardia carceraria Pasquale Cafiero, che lo ritiene "uomo geniale", "sceltissimo e immenso", e lo tratta in modo gentile e reverenziale, accettando da lui consigli e chiedendo pareri. Sinteticamente, e con grande efficacia, sono elencati i mali più gravi che affliggevano l'Italia di allora (molti dei quali non sono stati eliminati neppure oggi): ingiustizie sociali, povertà, inflazione, svalutazione, disoccupazione, corruzione, scandali. Lo Stato è considerato impotente, incapace di risolvere i problemi che affliggono soprattutto le classi più povere e bisognose, cosicché i cittadini sono costretti ad arrangiarsi e a chiedere favori alla malavita. Don Raffaè, infatti, è capace di dare conforto e lavoro, e quindi di rappresentare un potere alternativo a quello esclusivamente formale dello Stato. A una domanda di Alfredo Franchini su questa canzone - "È ispirata a Raffaele Cutolo?" - De André rispose: "Sì, e ho ricevuto da lui tre lettere e un libro di poesie. Le bande camorristiche e mafiose, chiamiamole ormai istituzioni antistatali, nascono dove lo Stato lascia i buchi e quindi danno loro il lavoro, lavoro sporco, fottuto a chi non ne ha. Arrivano quindi a gestire un potere e hanno la possibilità di fare dei favori, dei piaceri, anche se quello che chiedeva il brigadiere in Don Raffaè era un piacere ridicolo. Farsi prestare il cappotto è una burla che però fa capire le carenze dello Stato e i motivi per cui questi buchi vengono riempiti. Io considero istituzione mafiosa anche la chiesa o la massoneria. Qualsiasi organizzazione nel momento stesso in cui diventa tale, ha bisogno di militarizzarsi per difendere le proprie opinioni, le regole della stessa organizzazione e da qui direi che scaturiscono le guerre se parliamo di ampie organizzazioni come gli Stati. Ti sto parlando da libertario, sono un anarchico e così ti rispondo. Ma dalle grandi organizzazione come appunto gli Stati si può scendere alle piccole organizzazioni fino addirittura alle famgilie". (in A. Franchini, Uomini e donne di Fabrizio De André, F.lli Frilli Editori, Genova, 2000, p. 73) Il livello è esclusivamente denotativo e dunque, una volta compreso il lessico, l'interpretazione risulta agevole e chiara. ASPETTI METRICI Il testo è suddiviso in otto ottave con versi di varia lunghezza, inframmezzate da un ritornello che non ritorna in chiusura. Anche lo schema delle rime è libero: vi sono rime baciate, alternate e assonanze. Alcune parole restano irrelate: ad es. "fetenzia" (strofa 2), "notizie" e "impegno" (strofa 3), "svalutazione" e "stipendio" (strofa 5), ecc. Ho usato apposta un dialetto napoletano maccheronico: Son brigadiero, come dicono loro quando cercano di esprimersi in italiano. La chiave me l'ha data gli Alunni del sole di Marotta, dove c'è questo Don Vito Cacace che è l'intellettuale della zona e alla sera raduna tutti quanti e gli legge il giornale, spiegando che cosa succede. Poi, in certe parti, c'è anche qui l'attacco allo Stato: lo Stato si indigna, si impegna. Sono le parole di Spadolini, quando si precipitò a Palermo in occasione di una delle tante stragi mafiose: "Sono costernato, sono indignato e mi impegno...". [In Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 60] Ritorna la forza dell’ironia amara, come nell’efficace, potente evocazione del secondino, servitore dello Stato, eppure tradito dallo Stato: uno Stato esso stesso imbroglione e da galera, tanto da portare la guardia carceraria a preferirgli una magnanima figura di potente capo camorrista (una controfigura poetica di Raffaele Cutolo), verso il quale sviluppa sentimenti di servile devozione: paradossale rovesciamento della sindrome di Stoccolma. Icona dello sfascio italiano e del melmoso tramonto della prima Repubblica. [F. De Giorgi, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, 1997, p. 84] Don Raffae’ ripropone il topos del carcere, ma anche in questo caso la prospettiva del lamento è rovesciata, dal momento che la vittima è l’espressione di un sistema perverso. [E. Alberione, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, 1997, p. 115] Impietoso quadro sullo Stato attuale. [L. Pestalozza, in Fabrizio De André. Accordi eretici, EuresisEdizioni, 1997, p. 178] |