Non si possono chiudere gli occhi sulla violenza, presente anche nel privato. Disamistade descrive un conflitto tra due famiglie, una faida (questo il significato del titolo sardo), attraverso gli occhi angosciati degli innocenti che cercano conforto nella chiesa. Questa resta però chiusa nel suo immobilismo, lasciando ognuno solo di fronte alla prepotenza dell'onore che, in realtà, cela interessi meschini. La disperazione delle vittime porta a gridare che ci dovrà pur essere un modo di vivere senza dolore, ma questa speranza è destinata a restare insoddisfatta.
[Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, p. 162] Non tutti gli individui conviventi in una micro o macro società sono disposti a trasformare il disagio in sogno. Laddove "la corsa del tempo spariglia destini e fortune", mettendoli a continuo confronto nella condivisione di uno spazio ristretto, nasce l'invidia; la disamistade, la faida, nasce dal desiderio irrealizzabile di fermare il tempo e di eliminarlo per riportare il mondo a una ipotetica condizione originaria in cui tutti siamo uguali. La faida consiste nel paradosso di ammazzare l'ultimo assassino e l'autorità interviene quasi sempre a sproposito, giudicando frettolosamente in base a testimonianze equivoche, penalizzando innocenti che, scontata una pena ingiusta, diventano i nuovi luttuosi protagonisti della carneficina: in particolare quel "disarmarsi di sangue" da parte dei componenti di due famiglie è originato dalla costrizione alla convivenza all'interno di un esiguo territorio, ma quella manciata di case, quel piccolo paese con relativo tempio religioso, non rappresenta che il vetrino, la miniatura di più popolose società organizzate in territori di ben più vasti confini. Ed è proprio dall'antinomica Disamistade che traggono la propria origine quell'elogio della solitudine e quell'inno all'isolamento che sono il tema di tutte le altre canzoni dell'album. [Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 74] |