Bellissima e, insieme, di difficile interpretazione, è una metafora della vita come navigazione e della navigazione come vita [...].
I protagonisti sono i marinai, quelli che vivono tra un porto e l'altro e che non conoscono le "facce da tagliaborse" della gente bene di Lugano, ma che sanno qual è l'odore del mare e come navigare tra gli scogli dell'esistenza. Sì, perché tutto l'album è un'apologia della povera gente che lotta contro il destino; così chi è costretto a navigare tra gli scogli deve imparare a farlo, se vuole sopravvivere. Poi, dice il saggio Fabrizio, è meglio essere sulla barca del vino, perché il bene fa venire coraggio, o almeno tramortisce la paura. "Con i chiodi negli occhi", c'è chi passa la vita ad aspettare "finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere", perché la corda è ormai marcia, sta per rompersi e forse anche noi stiamo per diventare liberi dai recinti del nostro destino, della nostra mulattiera di mare. [Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, p. 136] A Genova ancora oggi stanno decidendo cosa fare dell'ex mercato del pesce di piazza Cavour, chiuso nel 2017 per motivi di igiene, forse un museo d'auto d'epoca, forse un parcheggio. Per ottant'anni è stato il punto di riferimento di pescatori, ambulanti, ristoratori e semplici cittadini che arrivavano all'alba a scegliere le migliori "arxelle, vongole, anciue", come grida la venditrice registrata a fine canzone. "La fortuna", racconta De André, "è stata di trovare la Caterina, una donna che vende il pesce, che danta in Re maggiore da sempre, ovviamente senza saperlo, per cui sembra che lei canti sul pezzo". Quel "pezzo", Creûza de mä, cambia la storia della canzone, non solo italiana ("Il più importante della world music", lo definisce David Byrne), sicuramente "il più coraggioso", come riconosce la stessa Dori Ghezzi, partendo proprio da una scelta, anzi da una serie di scelte insensate e geniali. Solo così nascono i capolavori. Intanto la "crêuza de mä", tradotto per convenzione "mulattiera di mare", ma che forse sarebbe meglio definire "sentiero" o "increspatura di mare", è quel fenomeno che si scorge spesso dalle alture liguri quando l'acqua viene screziata dal vento e dalle correnti creando una sorta di corridoio più chiaro, un magico "percorso liquido". De André ritrova Mauro Pagani, fondatore della Pfm e raffinato musicista senza frontiere, tecniche e geografiche. Insieme discutono di "musica mediterranea" ma Fabrizio, che è un incontentabile perfezionista, si inalbera: "Sono quindici anni che si parla di questa musica mediterranea. Ma dov'è? Vorrei proprio ascoltarla! Così ho deciso di farlo io un disco di musica mediterranea. Ci ho messo cuore e impegno e una buona volta mi sono scrollato di dosso la musica americana". Pagani, che compila tutti gli spartiti e gli arrangiamenti delle sette canzoni di Creûza de mä [l'album] suonando buona parte degli strumenti e sovrapponendo la voce per i cori, parte come un corsaro a saccheggiare suoni, ritmi, strumenti e melodie nell'Africa dell'Atlante e nel vicino Oriente mediterraneo. Torna alla base con un prezioso bottino. Prova a buttargli addosso un vestito di lingua araba o qualcosa che gli somigli, ma Fabrizio impone la sua scelta assurda: il genovese: "Ci siamo resi conto", confida De André, "che la sua impostazione, con un vocabolario di millecinquecento termini persiani, turchi e arabi, il genovese era quello che più si adattava ad accompagnare questo tipo di musica!. Ma va ancora oltre e scoperchia un idioma antico e misterioso che gli stessi abitanti di Genova non comprendono del tutto. Perché ci sono termini e fonemi resuscitati da vecchi testimoni orali, da libri impolverati, da memorie e invenzioni dello stesso De André. Siamo di fronte alla follia e all'eccellenza, pure nelle musiche e gli arrangiamenti di Mauro Pagani, che introduce (e suona) strumenti a corde esotici come oud, saz e bousouki, ma ci sono anche il darabouka, un bongo arabo affidato a François Bedel, le classiche ma straordinarie percussioni di Walter Calloni, la gaida (cornamusa balcanica) di Theororos Kekes e altri misteriosi arnesi musicali che convivono in perfetta armonia. Basterebbe questo per fare di Creûza de mä un album di spessore siderale nella galassia della canzone. Poi ci sono le parole, nascoste dietro quell'alfabeto incomprensibile e inconcepibile. Il brano Creûza de mä parla di un gruppo di pescatori affamati e assetati che, dopo essere sbarcati, si dirigono alla casa di Dria (Andrea) per "sciugà e ossa", bere e mangiare. L'attacco è epico, con quella voce ancora più sciamana del solito e una cadenza obliqua che sconta il beccheggio anche in terraferma: "Umbre de muri muri de mainé / dunde ne vegnì dunde l'è ch'ané? / da 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa / e 'a neutte a n'à puntòu u cutellu ä gua" ("Ombre di facce facce di marinai / da dove venire, dove andate? / da un posto dove la luna si mostra nuda / e la notte ci ha puntato il coltello alla gola"). Il rischio è quello di trovare da Dria, "che u nu l'è mainä" ("che non è marinaio"), "gente de Lûgan facce da mandillä" ("gente di Lugano - cioè di lago e non di mare - facce da tagliaborse"), "qui che du luassu preferìscian l'ä" ("quelli che della spigola preferiscono l'ala") e "figge de famiggia oudù de bun / che ti peu ammiàle senza u gundun" ("figlie di buona famiglia che odorano di buono / che le puoi guardare senza preservativo"). Il menu però non è niente male e richiama le tradizioni liguri: "frittûa de pigneu, giandu de Purtufin / cervelle de bæ 'nt u meximu vin / lasagne da ficcià ai quattru tucchi (paciugu in ægruduse de lévre de cuppi" ("frittura di pesciolini, bianco di Portofino, / cervella di agnello cotte nello stesso vino / lasagna da tagliare ai quattro sughi / pasticcio in agrodolce di lepre delle tegole", che sarebbe il gatto). La potenza lirica, che rimanda a Le bateau ivre di Rimbaud e piacerebbe molto anche al genovese Montale, morto tre anni prima, esplode nel verso finale: "E 'nt 'a barca du vin che naveghiemu 'nsc'i scheuggi / emigranti du rie cu' i ciòi 'nti euggi / finché u matin crescià da puéilu reghéugge frè di ganeuffeni e de' figge / bacàn d'a corda marsa d'ægua e de sä / che a ne liga e ne porta 'nte 'na creûza de mä" ("E nella barca del vino navigheremo fino agli scogli / emigranti del sorriso con i chiodi infilati negli occhi / rinché il mattino crescerà al punto di poterlo raccogliere / fratello dei garofani e delle ragazze / padrone della corda marcita d'acqua e di sale / che ci lega e ci conduce ad un sentiero del mare"). A ondeggiare le strofe e a chiudere la canzone è: "E anda umé umé e anda umé e anda ayo", frammento superstite di quel simil arabo del prototipo proposto da Pagani. Intanto, lungo i "sentieri marini", la musica prende nuove strade, si allontana dal pop e - come suggerisce Cristiano - "dalla brutta copia degli americani". Diventa un'onda che risucchia tutto. [Federico Pistone, Tutto De André, Arcana, 2018, pp. 170-172] |