È la storia, narrata in modo un po' ermetico, di un uomo smarrito, senza meta, senza identità, emarginato dalla vita e dalla società, destinato ad un'esistenza piena di pericoli ("un filo di paura"), di sofferenza e di solitudine.
A quest'uomo è negata una condizione di normalità: non ha una una famiglia ("l'amore delle case"), non ha amore. La sua tristezza e il suo dolore sono talmente grandi da poterli toccare (cfr. gli ultimi due versi della seconda strofa). Unici compagni di questa desolante realtà sono "un falco" (= padre) di montaliana memoria, simbolo di assoluta libertà, e "un pagliaio" (= madre), che è culla, ricovero, grembo materno. Allora non resta altro che invocare la morte consolatrice. L'ambiente è quello della Sardegna mitica e ancestrale, delineata attraverso una serie di immagini: "fontana scura", "cisto", "mare", "sughera", "falco", "pagliaio"... Non manca la denuncia sociale di una situazione, quella pastorale, lasciata a se stessa, priva di qualunque sostegno. Il linguaggio è colto, soprattutto se pensiamo che chi parla non possiede un grado di istruzione elevato (come non pensare, dunque, al pastore del celeberrimo Canto notturno di Leopardi?); ma un'espressione rivela il contesto umile: "nessuno me lo imparò". Il livello retorico non è sempre decifrabile. "La luna (che) perde la lana" allude al novilunio. Il "passero (che) perde la strada" indica smarrimento. L'"angelo alla catena" è segno dell'ingiustizia (sociale) patita dalla gente umile e buona? Il "cane (che) abbaia" segnala l'arroganza di chi opprime o è simbolo di fame, dolore, rabbia, paura? Il Canto del servo pastore è, insieme, una storia e un'invocazione. (...) Il protagonista non si crogiola nel proprio destino di solitudine e discendenza ignota; invece assorbe ogni particolare della natura - assunta come madre adottiva - e vi identifica le tappe del percorso della propria vita. Nella prima e nella terza strofa evidenzia le mancanze che lo rendono isolato (ignora il proprio nome, la direzione, l'amore delle case ) e chiude con la richiesta a madre natura di una fine serena: "notte notte notte sola, sola come il mio fuoco / piega la testa sul mio cuore e spegnilo poco a poco". [Matteo Borsani - Luca Maciacchini, Anima salva, pp. 124-125] |