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          Erano i capei d’oro a l'aura sparsi
          che 'n mille dolci nodi gli avolgea,
          e 'l vago lume oltra misura ardea
          di quei begli occhi, ch'or ne son sì scarsi;
    
      5  e ’l viso di pietosi color’ farsi,
          non so se vero o falso, mi parea:
          i’ che l’esca amorosa al petto avea,
          qual meraviglia se di sùbito arsi?
    
          Non era l’andar suo cosa mortale,
    10  ma d’angelica forma; e le parole
          sonavan altro, che pur voce humana.
    
          Uno spirto celeste, un vivo sole
          fu quel ch’i' vidi: e se non fosse or tale,
          piagha per allentar d’arco non sana.
    
    
    [da Rime, Longanesi, Milano 1976]

    METRO Sonetto con schema di schema metrico ABBA ABBA CDE CDE.

    COMMENTO
    In questo sonetto, composto tra 1339 e 1347, l'autore rievoca il primo incontro con Laura, avvenuto nella chiesa di S. Chiara ad Avignone, quando si innamorò di lei colpito dalla sua folgorante bellezza, che ora, a causa dell'età, comincia a sfiorire.
    Tutto il componimento è giocato appunto sul contrasto tra la Laura del primo incontro e quella del presente. La prima è descritta coi tratti distintivi della donna-angelo dello Stilnovo, con i capelli biondi ("capei d'oro"), con gli occhi pieni di un indefinibile splendore ("vago lume"), e dotata di un incedere che la fa sembrare una "angelica forma" e di una voce superiore a quella umana, paragonata a uno spirito celeste e a un "vivo sole". Della seconda è detto solo che i suoi occhi sono "scarsi" della luminosità di un tempo, facendo intendere che la donna è invecchiata e reca sul volto i segni del tempo: cosa che, tuttavia, non fa diminuire l'amore del poeta per lei.