METRO
Cinque strofe di otto versi ciascuna, con schema metrico ABABCDCd (a differenza dell'ultima, che presenta uno schema irregolare). Ogni strofa è costituita da sette novenari e un senario.
COMMENTO
La mia sera fa parte dei Canti di Castelvecchio, pubblicati inizialmente nel 1903 ma ampliati più volte nelle successive edizioni, fino a quelle postume del 1912 e del 1914.
La poesia (per la quale vari critici hanno colto evidenti analogie con La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi) descrive la pace serale sopraggiunta a un giorno tormentato da un forte temporale. Il poeta vede in questa situazione meteorologica strette connessioni con la sua vita familiare, funestata dal misterioso omicidio del padre quando egli era ancora fanciullo.
Ogni strofa è divisa quasi a metà, a seconda del tema che vi viene svolto: il confronto tra la furia della tempesta e la "pace" (v. 8) della sera (strofe 1 e 2), oppure tra la situazione esterna e il proprio dramma personale (strofe 3 e 4); fa eccezione solo la strofa conclusiva (vv. 33-40), incentrata esclusivamente sui ricordi infantili del poeta.
Si tenga presente che i Canti di Castelvecchio sono dedicati alla memoria della madre, all'insegna di un rapporto inscindibile tra vita e morte, come il poeta spiega nella "Prefazione": "E su la tomba di mia madre rimangano questi altri canti!... (...) E sono anche qui campane e campani e campanelle e campanelli che suonano a gioia, a gloria, a messa, a morto; specialmente a morto. Troppo? Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensier della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. (...) Crescano e fioriscano intorno all'antica tomba della mia giovane madre queste myricae (diciamo, cesti o stipe) autunnali.".
FIGURE RETORICHE
Tra le figure retoriche del testo (alcune delle quali di uso tipicamente pascoliano) troviamo onomatopee che sono insieme allitterazioni (v. 4: "c'è un breve gre gre di ranelle"; v. 33: "Don… Don… E mi dicono, Dormi!"), anafore (anche a lunga distanza, come per la ripresa del termine "sera" in chiusura di ogni strofa), metafore (v. 22: "La nube nel giorno più nera"), metonimie (vv. 29-30: "La parte, sì piccola, i nidi / nel giorno non l'ebbero intera", in cui i "nidi" indicano ciò che vi è contenuto, ovvero i piccoli della rondine) e sinestesie (v. 36: "voci di tenebra azzurra").
NOTE
1 tacite: silenziose
2 ranelle: diminutivo di rane
3 le tremule... leggiera: le foglie dei pioppi vibrano per una lieve brezza che le attraversa.
4 che scoppi!: quelli dei tuoni,
5 si devono... vivo: le stelle stanno per spuntare (come fiori che sbocciano) nel cielo così tenero e terso (dopo il temporale).
6 un rivo: un ruscello.
7 canoro: dal suono melodioso.
8 cirri: nubi alte e leggere, illuminate dal sole al tramonto.
9 O stanco... riposa: Un invito (apostrofe) rivolto al proprio dolore, affinché si plachi.
10 garrula: lieta, chiassosa.
11 la parte... intera: a causa del giorno tempestoso, gli uccelli non sono potuti andare in cerca di cibo per il loro piccoli ("i nidi").
12 Né io...: si slitta qui sul piano metaforico: il poco cibo che basta agli uccellini per sfamarsi corrisponde a un minimo di felicità del poeta.
13 Don... Dormi!: il suono delle campane è come una ninna nanna.
14 voci... azzurra: il suono delle campane nel cielo azzurro della sera.
15 sentivo... nulla: il suono delle campane rievoca il canto della madre quando il poeta era fanciullo: ma subito il ricordo svanisce, "sul far della sera"..
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