• 
    
          Piove. Mercoledì. Sono a Cesena,
          ospite della mia sorella sposa,
          sposa da sei, da sette mesi appena.
    
          Batte la pioggia il grigio borgo, lava
      5  la faccia delle case senza posa,
          schiuma a piè delle gronde come bava.
    
          Tu mi sorridi e io sono triste. Forse
          triste è per te la pioggia cittadina,
          il nuovo amore che non ti soccorse,
    
    10  il sogno che non t'avvizzì, sorella,
          che guardi me con occhio che si ostina
          a dirmi bella la tua vita: bella,
    
          bella! Oh bambina, sorellina, o nuora,
          o sposa, io vedo tuo marito, sento
    15  a chi dici ora mamma, a una signora;
    
          so che quell'uomo è il suocero dabbene
          che dopo il lauto pasto è sonnolento,
          il babbo che ti vuole un po' di bene.
    
          "Mamma!" tu chiami e le sorridi e vuoi
    20  ch'io sia gentile, vuoi ch'io le sorrida,
          ch'io le parli de' miei viaggi; e poi,
    
          quando poi siamo soli (oh come piove!)
          mi dici, rauca, di non so che sfida
          corsa ieri tra voi, e dici dove,
    
    25  quando, come, perché, ripeti ancora
          quando, come perché, chiedi consiglio
          con un sorriso non più tuo, di nuora.
    
          Parli d'una cognata quasi avara
          che viene spesso per casa col figlio
    30  e non sai se temerla o averla cara;
    
          parli del nonno ch'è quasi al tramonto,
          il nonno ricco del tuo Dino, e dici:
          "Vedrai, vedrai se lo terrò da conto";
    
          parli della città, delle signore
    35  che già conosci, di giorni felici,
          di libertà, d'amor proprio, d'amore...
    
          Piove. Mercoledì. Sono a Cesena.
          Sono a Cesena e mia sorella è qui,
          tutta di un uomo ch'io conosco appena,
    
    40  tra nuova gente, nuove cure, nuove
          tristezze, e a me così parla, così
          parla, senza dolcezza, mentre piove:
    
          "Mamma nostra t'avrà già detto che...
          E poi si vede, ora si vede, e come!
    45  Sì, sono incinta: troppo presto, ahimè!
    
          Sai che non voglio balia, che ho speranza
          d'allattarlo da me? Cerchiamo un nome...
          Ho fortuna: è una buona gravidanza...".
    
          Ancora parli, ancora parli; e guardi
    50  Ancora parli, ancora parli; e guardi
          l'ombra grigiastra. Suona l'ora. È tardi.
          E l'anno scorso eri così bambina! 
    
    
    [Da Il giardino dei frutti, Ricciardi, Napoli 1915]

    METRO: terzine di endecasillabi, con schema metrico ABA BCB DED FEF ecc.

    In questo che è il testo poetico più conosciuto di Moretti, e che viene indicato come quello che rappresenta il suo particolare crepuscolarismo, la nobile terzina dantesca (a parte qualche variante nel gioco delle rime) è piegata a un tono prosastico, nel tentativo di riflettere la quotidianità.
    Tutto il testo verte su dati privati e personali: l'incontro con la sorella da poco sposa, nella sua nuova dimora; la visione di lei così cambiata, divenuta - da fanciulla qual era appena un anno prima - donna accorta ed interessata nella convivenza coi suoceri; il colloquio con lei, realissimo, attento alle cose più minute, e tuttavia così remoto, quasi distratto. Il racconto è pervaso dalla psicologia dell'autore, dalla sua sottile gelosia per la sorella che ha ormai abbandonato il "nido" familiare.