METRO. Versi liberi.
COMENTO.
Come ha osservato Elio Gioanola, "è la poesia più antologizzata di Govoni, e giustamente. Si tratta di un risultato di estrema purezza, ottenuto coi mezzi più semplici (...). Non che Govoni dimentichi la sua felicità inventiva e coloristica e anzi proprio la semplificazione l'accentua: la bambina che nella sua trombettina di latta da quattro soldi, stonata, rappresenta tutta la felicità della fiera e della vita stessa, finisce per diventare il simbolo di una poesia, e di questa in particolare, capace di sintetizzare coi suoi pochi e vivacissimi colori la meraviglia per lo spettacolo sempre nuovo della realtà. Questa poesiola fa pensare in modo irresistibile ad una pittura naïve particolarmente felice: in questo senso la bambina è anche un modello d'identificazione per il poeta, che pensa-sente come lei, immedesimato nella sua felicità e nella sua immaginazione, capace, come è solo capace la fantasia infantile, di inventare le cose più meravigliose a partire dallo spunto più povero. La realtà diventa sogno, mantenendo tutte le sue caratteristiche più minute e i suoi colori, ma perdendo quelle coordinate di spazio e tempo che la imprigionano nelle prospettive rigorose del mondo adulto e colto".
Per chiudere, una sola annotazione: l'aggettivo "scalza" del v. 6 non è un particolare secondario, perché sta ad indicare la totale adesione della bambina alla natura circostante, una specie di panismo spontaneo e inconsapevole.
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