• [omissis]

    Il primo nome che la tradizione
    ci ha tramandato è quello di Talete,
    poiché per primo pose la questione
    se ciò ch'egli vedeva e voi vedete,
    insomma tutto ciò che appare al mondo,
    non abbia un fondamento più profondo.

    Si convinse in tal modo che, al di sotto
    di tutto ciò che esiste e poi svanisce,
    vi è qualcosa di puro ed incorrotto,
    che non ha avuto inizio e non finisce.
    Per definirlo - e spiegherò perché -
    usò un termine ad hoc: il greco arché.

    Stimo dunque opportuno precisare
    che il greco arché, che nella nostra lingua
    si usa tradurre e un po' banalizzare
    col termine principio, si distingue
    per un'aura semantica speciale:
    indica infatti ciò che vi è di uguale

    nelle cose più varie, e non soltanto;
    denota insieme la forza che spinge
    il divenire del mondo e il suo incanto;
    addita infine (e il cerchio qui si stringe)
    ciò da cui tutte le cose provengono
    e in cui tutte, col tempo, poi si spengono.

    Talete nulla scrisse di suo pugno,
    perché troppo impegnato a meditare,
    tanto che un giorno pare batté il grugno
    dentro una buca, intento a rintracciare
    appunto quale sia quell'elemento
    che sta dell'universo a fondamento.

    [omissis]

    Fu insomma intensa e gran preoccupazione
    dei primi pensatori rintracciare
    un principio che fosse la cagione
    di tutto ciò che in questo mondo appare.
    Prima e dopo di allora, nella storia,
    nulla è stato più degno di memoria.

    Perché il pensiero greco apre lo spazio
    in cui vengono a muoversi e operare,
    a volte con misura altre con strazio,
    le forme e i modi del nostro anfanare:
    statistica, diritto, economia,
    fisica, geometria, archeologia,

    linguistica, elettronica e altre scienze
    guidano infatti quotidianamente
    il corso delle singole esistenze;
    e tutte sono irrefutabilmente
    figlie di quel sapere senza il quale
    la nostra vita non sarebbe tale.