[omissis]
Per Kant di sostanziale conoscenza non è possibile parlare intorno a quello che trascende l'esperienza, ma quanto a questa, pur con qualche scorno, l'uomo ha senz'altro l'opportunità di raccogliere qualche verità. Nei confronti dei fatti d'esperienza Kant rifiuta perciò lo scetticismo humiano. Invece della trascendenza, fonte e prodotto di ogni dogmatismo, anch'egli pensa non esista affatto e resti un'illusione, ma c'è il fatto che l'uomo avverte in seno una tendenza, una disposizione naturale verso la metafisica. Alla scienza compete di spiegare, bene o male, quest'esigenza interiore, il movente per cui l'uomo si volge al trascendente. Nella Critica della ragion pura Kant si propose allora di vagliare proprio la forza della ragion pura, ossia della ragione quando appare in totale, completa indipendenza dai dati offerti dentro l'esperienza. Secondo Kant infatti che ci sia conoscenza del tutto indipendente dall'esperienza è un fatto, ma che sia all'uomo disponibile e presente non significa che una conoscenza cosiffatta preceda l'esperienza. Lo stesso Kant infatti sosteneva, con gli empiristi, che la conoscenza nasce dall'esperienza, ma diceva di distinguere nella conoscenza una materia greggia, ch'è per norma appunto l'esperienza, dalla forma ch'essa assume in virtù di certe leggi della coscienza volte ad ordinare i dati sensoriali. Queste leggi, anche se Kant trascura di annotare, sono innate nel senso cartesiano, come provo a spiegare piano piano. [omissis] Quindi, come per Hume, anche per Kant l'uomo non può conoscere davvero quella che definiamo la realtà in sé, che dunque resta un gran mistero: ad essa assegna il nome di noumeno: al suo mostrarsi, quello di fenomeno. Quest'ultimo soltanto è il vero regno di cui si possa avere conoscenza, la quale poi si avvera in modo degno solo riconoscendo l'esistenza dello spazio e del tempo, senza i quali neppure avremmo idee occasionali. Infatti noi non percepiamo niente se non nel tempo e nello spazio, i quali non sono né concetti della mente né pregi delle cose, ma essenziali, sole e determinanti condizioni delle nostre costanti percezioni. Con l'anima, con Dio, col mondo stesso - pur essendo presente l'elemento a prïori (le idee) - non è concesso un rapporto diretto e l'elemento sintetico in tal modo non sussiste. Dunque la metafisica consiste in uno sforzo inane della mente. Ma se non posso dimostrare Dio, vuol dire che davvero è inesistente? Se sì, su cosa può fondarsi l'io nelle questioni pratiche essenziali? Quali mai sono i valori morali? Orbene, ciò che alla pura ragione è trascendente, diviene immanente per quella pratica. Questa estensione indebita ha un suo senso propriamente soltanto in vista del comportamento morale e non comporta alcun aumento di conoscenza a livello teoretico, speculativo. Dunque i postulati della ragione pratica hanno un etico valore: essi non vanno assimilati al sapere, bensì alla volontà all'agire, all'umana libertà. [omissis] |