Lo stesso De André ha raccontato più volte, e in particolare in un'intervista rilasciata a Luciano Lanza nel 1993, l'origine di questa celeberrima ballata.
[omissis] In effetti, è solo grazie alle precisazioni dello stesso De André che il critico e il lettore-ascoltatore possono riferire di un contesto extraletterario altrimenti inattingibile e addirittura inimmaginabile. Soltanto dalle parole dell'autore risulta evidente il suo tentativo di addolcire idealmente la tragica fine di una sventurata ragazza e di farla rivivere nel ricordo, collocandone la storia fuori dal tempo, nella dimensione incantata della favola. A tal fine, non solo l'amore è cantato con simboli ("acqua", "vento","stella") e colori ("bianco" e "rosso") fiabeschi, ma il velato erotismo di un rapporto completo e profondo è reso attraverso una delicata metafora:
[omissis] L'idealizzazione della storia è realizzata attraverso un lessico semplice e sognante ("primavera", "vento", "fiume", "stella", "ricordo", "sogno", "amore", "luna", "ragazzo", "aquilone", "sole", "baci", "fiordalisi", "cielo", "rose") ed immagini che veramente richiamano il mondo della fiaba ("un re senza corona e senza scorta", cioè il classico principe azzurro che tutte le ragazze sognano prima o poi di incontrare) e il sogno dell'amore puro ed eterno: "bussò cent'anni ancora alla tua porta". Importante è l'uso delle figure retoriche, fra le quali, quantitativamente, spiccano le similitudini: "bianco come la luna il suo cappello, / come l'amore rosso il suo mantello, / tu lo seguisti senza una ragione, / come un ragazzo segue un aquilone" (vv. 9-12); "e come tutte le più belle cose, / vivesti solo un giorno come le rose" (vv. 27-28). Riconosciamo poi una personificazione: "ma il vento che la vide così bella / dal fiume la portò sopra una stella" (vv. 4-5) e un'iperbole: "ma lui, che non ti volle creder morta, / bussò cent'anni ancora alla tua porta" (vv. 23-24); anzi due se pensiamo al primo emistichio del v. 28: "vivesti solo un giorno...". [omissis] |