Col termine razionalismo si fa riferimento a quelle filosofie (come ad esempio il platonismo e l'hegelismo) che ritengono la realtà governata da un principio intelligibile per il nostro pensiero. In questo significato più esteso il termine si contrappone a irrazionalismo, ossia a quelle filosofie che vedono l'universo dominato dal caso o da altre forze oscure. Ma in senso più ristretto esso indica un particolare metodo di conoscenza che si colloca agli antipodi dell'empirismo, secondo il quale la fonte della conoscenza risiede nell'esperienza sensibile.
La polemica fra razionalismo ed empirismo si sviluppò soprattutto nel corso dei secoli XVI e XVII, cioè nel periodo in cui nacquero e si consolidarono le moderne scienze naturali. Al centro di quel dibattito vi fu appunto il problema del metodo, ossia della ricerca delle procedure giustificative della scienza stessa ("metodo" significa l'inseme di regole capaci di guidare la mente nella acquisizione di conoscenze scientifiche). I razionalisti partono dalla convinzione che le conoscenze veramente valide sono prodotte dall'attività della mente, la quale non ha bisogno dei dati forniti dall'esperienza sensibile (ossia del vedere, sentire, toccare, ecc.). Alcuni razionalisti sono anche innatisti, cioè suppongono che l'uomo porti in se stesso fin dalla nascita (quindi prima di ogni esperienza) determinate idee o princìpi conoscitivi. In senso stretto, innatistica è la posizione di Platone, il quale spiega la capacità del pensiero di cogliere la forma universale e concettuale delle cose empiriche mediante l'anamnesi, cioè il ricordare (sotto lo stimolo dell'esperienza) la visione delle pure essenze o idee che l'anima ebbe prima di incarnarsi nel corpo. Nel pensiero moderno la tematica dell'innatismo è stata abbandonata, ma già nel Seicento i razionalisti, a cominciare da Cartesio, avevano cercato di trovare altrove il fondamento giustificativo del modo di procedere razionalistico. Tuttavia, per un razionalista, questo "altrove" non può che stare nella mente umana. Si tratta in sostanza (pur escludendo l'innatismo) di ammettere che le strutture mentali e le forme in cui esse trovano applicazione nell'attività conoscitiva sono a priori rispetto all'esperienza. Questa è appunto la strada percorsa soprattutto da Leibniz e da Kant, secondo i quali, se è vero che nell'intelletto non c'è nulla prima delle effettive esperienze conoscitive, è anche vero che c'è l'intelletto stesso cone le sue forme e le sue strutture, le cui regole non dipendono dall'esperienza. Certo è comunque che per i razionalisti la conoscenza deve iniziare dalle idee universali della mente e procedere successivamente in modo deduttivo, ossia ricavando da esse tutto ciò che vi è di razionalmente implicito. La via del procedimento deduttivo implica necessariamente il rispetto del principio di coerenza, ossia la mancanza della contraddizione. La deduzione, per dirla con altre parole, si configura come un'inferenza, ossia un passaggio da una conoscenza ad un'altra, che va dal generale al particolare. La forma più celebre di deduzione è il sillogismo aristotelico, ovvero un procedimento che consta di tre proposizioni: la prima (detta premessa maggiore) è una proposizione universale e affermativa; la seconda (detta premessa minore) è anch'essa affermativa, ma è di tipo particolare; la terza (detta conclusione) è quella che nasce come conseguenza dell'accostamento delle due premesse. Un esempio notissimo è il seguente: "Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è un uomo; dunque Socrate è mortale"). Risulta però evidente il carattere tautologico del procedimento sillogistico: infatti, quando si è detto che tutti gli uomini sono mortali, è superfluo aggiungere che anche Socrate lo è. Inoltre occorre notare che, attenendosi scrupolosamente al suo schema, il sillogismo è sempre formalmente esatto, ma è vero soltanto se le sue premesse sono vere. Ad esempio il seguente sillogismo: "Tutti gli uomini sono poeti; Tremonti è un uomo; dunque Tremonti è un poeta" è un sillogismo formalmente esatto, ma decisamente falso. Come detto, al razionalismo si oppone l'empirismo. La parola empeirìa in greco significa "esperienza": empirismo è perciò un metodo conoscitivo che, a differenza del razionalismo, assegna un ruolo centrale all'esperienza sensibile, nel senso che solo grazie ad essa è possibile procedere alla elaborazione di concetti e alla costruzione del pensiero filosofico e scientifico. Nel pensiero antico la tesi secondo cui "nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu" (non c'è nulla nell'intelletto che prima non sia stato nei sensi) incontrò molti sostenitori. Lo stesso Aristotele, il cui pensiero si fonda in realtà su un intreccio di razionalismo ed empirismo, ne fu profondamente influenzato (a lui si deve ad esempio la prima analisi sistematica della sensazione), ed ancora più esplicitamente empirista fu la strada seguita dalla filosofia in età ellenistica, quando la scuola epicurea e quella stoica si trovarono concordi nell'attribuire alle sensazioni il carattere rivelatore della vera essenza delle cose. La più radicale contestazione dell'empirismo nel mondo antico venne condotta da Platone (soprattutto nel Teeteto): e ciò è ovvio in quanto, se per gli empiristi la nostra anima è una tabula rasa, per Platone essa è invece già fornita di idee innate. L'empirismo trovò già agli inizi dell'età moderna, cioè agli albori della scienza propriamente detta, un esponente qualificato in Francesco Bacone. Ma la sua più completa formulazione fu elaborata da John Locke, che nel suo Saggio sull'intelletto umano, contestando l'innatismo, scompose le idee presenti nella mente riconducendole a tre grandi categorie: semplici, complesse e astratte. Le idee semplici sono il frutto evidente delle sensazioni, le basi atomistiche della conoscenza, mentre le idee complesse sono il risultato di una riflessione della mente che, sotto l'accostamento di idee semplici (per esempio un colore, una forma, un peso) cerca di identificare una sostanza (per esempio un tavolo). Tuttavia le idee complesse, secondo Locke, non possono garantirci la formulazione di giudizi certi, ma contengono solo elementi valutabili sul piano della probabilità. Se poi ci si sposta alle idee astratte o generali (quelle che Platone aveva indicato come modelli preesistenti alla mente dell'uomo), in questo caso per Locke siamo davanti a dei puri e semplici nomi, a delle metafore astratte alle quali non corrisponde alcuna realtà oggettiva: esse ci servono, sono utili al nostro pensiero, ma nella loro essenza sono solo dei segni linguistici, necessari alla comunicazione tra gli uomini (alla categoria delle idee astratte appartengono anche le dimostrazioni della matematica). Sulla via aperta da Locke si posero vari pensatori, tra i quali David Hume, uno dei più importanti esponenti del relativismo filosofico, e più tardi John Stuart Mill, per il quale l'intera conoscenza è di origine empirica ed il metodo su cui essa è fondata è l'induzione. Infatti, secondo Stuart Mill, gli stessi procedimenti deduttivi partono da premesse generali che però altro non possono essere che generalizzazioni più o meno fondate di osservazioni empiriche (ad esempio l'affermazione "tutti gli uomini sono morali" è solo una generalizzazione dei casi di morte osservati da tutti gli uomini). Le stesse verità logiche e matematiche sono generalizzazioni di alcune esperienze di spazio e di relazione tra oggetti. La generalizzazione induttiva è a sua volta fondata sull'idea della uniformità della natura e della regolarità dei fenomeni naturali: il passaggio da osservazioni su un numero limitato di casi ad affermazioni sulla totalità dei dati possibili regge solo sull'idea che la natura abbia delle leggi. E qui sta il punto fondamentale: la natura è veramente soggetta a leggi, o siamo noi a pensarlo? E, nel primo caso, come è possibile per l'uomo conoscerle? Nel secondo caso, come può l'uomo formulare ipotesi che non hanno corrispondenza con la realtà? Ma queste domande rimandano ad altre: cos'è la conoscenza, ed è possibile? esiste veramente la realtà? Il contrasto fra razionalismo ed empirismo è tra quelli che, nella storia della filosofia, per chi studia filosofia, suscita il dubbio se si possa conoscere qualcosa con certezza oppure no. E questo dubbio aumenterebbe se si provasse a immaginare che forse la mente dell'uomo è qualcosa che non è nemmeno ciò che crede di essere; e che la realtà possa essere qualcosa di diverso da ciò che appare ai nostri sensi. * Elaborazione da C. Monaco, Conoscere la filosofia, Thema, Bologna-Torino 1988, pp. 65-75. |