Il termine Dio (dal latino deus, connesso alla radice indoeuropea div, che vuole dire "luminoso", "celeste") designa, seppure con significati diversi a seconda delle diverse culture, un'entità superiore dotata di potenza sovrumana. Ma se la teoria della verità come corrispondenza afferma che la verità, cioè ciò che vien detto, sta nel linguaggio mentre il criterio della verità sta nella cosa, si sosterrà veridicamente che Dio esiste soltanto se effettivamente esiste. Il problema è: come si può stabilire con certezza che Dio esiste davvero e non è invece una semplice ipotesi? In questo campo le teorie filosofiche si oppongono simmetricamente attraverso tutta la storia del pensiero umano: per i teisti Egli è una certezza assoluta, mentre per la maggior parte dei filosofi materialisti ed empiristi è soltanto un'ipotesi inventata dagli uomini per confortarsi nella loro angoscia esistenziale.
Del resto, l'esistenza di religioni diverse (di tipo sia monoteistico che politeistico) rende problematico il discorso. A rigor di logica, dato che non sono d'accordo fra loro, solo una potrebbe essere vera. E forse ha ragione Bertrand Russell quando sostiene che, "tranne pochi casi eccezionali, la religione che l'uomo accetta è la stessa professata dalla comunità nella quale vive: quindi è chiaro che è l'influenza dell'ambiente circostante ciò che lo induce ad accettarla". Sarà pertanto utile concentrare la nostra attenzione sull'ambito che ci riguarda da vicino: quello della tradizione ebraico-cristiana, per la quale la parola "Dio", almeno nell'accezione divenuta prevalente nella cultura occidentale, include le determinazioni di Essere supremo, oltremondano, assoluto, che esiste per se stesso e perciò è necessario, eterno, infinitamente perfetto, creatore, legeslatore e giudice del mondo. 1. Le prove dell'esistenza di Dio L'aspetto più problematico, per il pensiero cristiano, riguarda la necessità di giustificare la nozione di Dio uno e trino e incarnato, di fronte alle obiezioni del monoteismo assoluto e del razionalismo. I primi pensatori cristiani, quelli appartenenti alla patristica, sostenevano in genere la non-conoscenza di Dio, essendo la sua essenza inaccessibile alla mente umana, e dunque ineffabile. Ma più tardi la scolastica, il cui massimo esponente fu Tommaso d'Aquino, si propose invece di spiegare l'esistenza di Dio su basi razionali. L'elemento razionale nella concezione di Dio ha dato luogo alla elaborazione di prove dell'esistenza di Dio. I pensatori che le enunciano sostengono che, ove non si ponga un principio trascendente, l'esperienza risulta contraddittoria e si dovrebbe allora negare la razionalità del reale. Si potrebbe replicare: e perché mai la realtà dev'essere necessariamente (hegelianamente) razionale? Ma occupiamoci delle singole prove... Secondo l'argomento ontologico (Anselmo d'Aosta, Cartesio), l'essere pensabile col massimo di perfezione deve necessariamente esistere, perché altrimenti non potrebbe essere perfetto. Secondo l'argomento cosmologico (Aristotele, Tommaso d'Aquino), la contingenza del mondo postula l'esistenza di un essere necessario. Secondo l'argomento teleologico (Tommaso d'Aquino e in genere la scolastica), l'ordine e il finalismo che si presentano nella natura richiedono un'intelligenza ordinatrice. Vi è infine quella che possiamo chiamare la prova storica - sostenuta da studiosi di scienze umane più che da filosofi di professione -, che si appella alla presenza dell'idea di Dio presso tutti i popoli. Le argomentazione su cui tali prove poggiano sono contestate da diverse correnti della filosofia moderna. Kant, per esempio, ha cercato di aprire una via nuova facendo dell'idea di Dio un postulato della ragione pratica, un'esigenza della vita morale. 2. Agnosticismo, ateismo e fideismo La posizione forse prevalente tra i filosofi contemporanei, e inconsapevolmente nello stesso senso comune, intorno all'esistenza di Dio è rappresentata dall'agnosticismo, il cui esponente più autorevole è forse il filosofo inglese Bertrand Russell. Più che illustrare sistematicamente il suo pensiero al riguardo gioverà riportare alcuni passi originali, che per la loro forza espressiva non possono che perdere consistenza in una sintesi operata da chiunque altro:
Perché "agnostico", e non semplicemente ateo? Perché l'ateo prende posizione contro Dio: si dichiara sicuro che non esiste; mentre l'agnostico non prende partito: ritenendo Dio indimostrabile, il problema gli è indifferente. Un pensiero del filosofo illuminista Denis Diderot:
e un altro del celebre matematico e fisico Laplace:
illustrano chiaramente la posizione degli agnostici, una posizione forse più diffusa di quanto si immagini. Molti, al contrario degli atei e degli agnostici, credono in Dio pacificamente senza porsi problemi; anzi rifiutano ogni discussione sull'esistenza di un essere supremo in quanto, per loro, Dio è l'evidenza stessa. Essi rifiutano di discutere, soprattutto su un piano filosofico, in quanto ritengono che la filosofia non sia in grado di risolvere il problema dell'esistenza di Dio, che per loro è invece un fatto certo. Tuttavia, in mancanza di un criterio intersoggettivo di certezza, l'esistenza di Dio non può essere dimostrata a chi non ci crede. Per questo alla posizione di coloro che non dubitano assolutamente dell'esistenza di Dio si dà il nome di fideismo. Probabilmente molti credenti ignorano di essere fideisti, e sarebbero stupiti se qualcuno dicesse loro che essere fideisti significa aver preso una posizione filosofica. Infatti il fideismo, a grandi linee, consiste nel rifiuto di cercare prove, ragioni o argomenti per dimostrare qualsiasi cosa. In campo religioso, i fideisti non sono disposti a provare l'esistenza di Dio, dato che la ritengono un fatto scontato, un postulato di base, un principio immutabile, tolto il quale tutto andrebbe a catafascio. Possiamo infine, accanto ai fideisti (o meglio, al di sopra di loro), citare i mistici, individui "visitati" o per così dire "abitati" da Dio, per i quali porre il quesito della sua esistenza è quasi un sacrilegio. Sarebbe inutile dialogare su una questione del genere con loro, tanto più se intendessimo dare al dialogo un taglio filosofico. Al comune mortale che, non possedendo una fede, vorrebbe averla, non rimane che invidiarne il privilegio. |