La filosofia ha affrontato questa domanda fin dalle origini e lungo tutto il suo sviluppo storico, fornendo sempre risposte contrastanti.
Tra le scuole filosofiche che hanno fatto riferimento ad un principio irrinunciabile di certezza ve ne sono alcune che radicano la propria ferma convinzione in un presupposto teologico rivelato: così è nel pensiero cristiano, anche fra quei pensatori che si sono dichiarati più aperti alla ricerca razionale, come Anselmo d'Aosta, Tommaso d'Aquino e Jacques Maritain. A conclusioni filosofiche ritenute certe giunge anche quel filone di pensiero che viene definito razionalistico in quanto ha alla base la convinzione che la mente umana sia adeguata a comprendere le cose. In quest'ambito troviamo pensatori come Parmenide, Platone, Cartesio e Hegel. Nel Novecento non sono più apparse forme di pensiero filosofico così radicate in un sistema di certezze, e quindi il relativismo, presente anche nelle filosofie antiche, ha ripresa quota. Il primo ad aver negato la possibilità di certezze oggettive fu il sofista Protagora, il quale affermò che "l'uomo è misura di tutte le cose", facendo riferimento non ad un modello universale di uomo ma ad ogni singolo individuo. Questa posizione fu radicalizzata dallo scetticismo, una corrente filosofica fondata da Pirrone, che si protrasse fino al II sec. a.C., la quale sostenne che non è possibile affermare nulla con certezza. Ma è facile far notare come lo scetticismo radicale risulti in contrasto con la sua premessa: difatti, se non è possibile esser certi di nulla, non è nemmeno possibile esser certi che nulla sia certo. Nel pensiero moderno i massimi esponenti dello scetticismo furono il francese Michel de Montaigne e, più tardi, l'inglese David Hume. Quest'ultimo non si limitò a criticare il carattere puramente astratto delle idee logiche, ma sottopose a critica spietata il principio fondamentale di ogni sapere filosofico e scientifico: la ricerca delle cause e lo stesso rapporto di causa-effetto. Nel mondo, osservò Hume, niente è uniforme, e perciò niente è prevedibile: le cause sono solo una pigra abitudine della mente. Questa riproposizione dello scetticismo e del relativismo fu così forte che persino il grande Kant rimase profondamente scosso da quello che egli stesso definì "sonno dogmatico". Il dubbio insinuatosi nella sua mente lo portò in effetti a rendere assai più elastico e problematico il suo sistema di certezze. Giunse in tal modo a due conclusioni: 1) che le certezze scientifiche hanno una loro validità (se fondate sul corretto funzionamento della mente), ma ciò non significa che esse corrispondano alla realtà; 2) che l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima rispondono a necessità di tipo morale, ma dal punto di vista razionale esse non sono dimostrabili. Come si diceva, il relativismo e lo scetticismo hanno messo profonde radici nella realtà del pensiero contemporaneo. A questo proposito possiamo ricordare il superomismo di Nietzsche, l'intuizionismo di Bergson, la teoria dell'inconscio di Freud e la teoria della relatività di Einstein. Sempre in ambito scientifico possiamo infine ricordare la posizione di un altro grande fisico tedesco, Werner K. Heisenberg, assertore del principio di indeterminazione, secondo cui nello studio dei fenomeni fisici le nostre conoscenze possono avere un valore di probabilità, ma mai di certezza. È chiaro, per concludere, che non esistono facili certezze. È però ugualmente chiaro che della ricerca di certezze l'uomo non può fare a meno. Questa esigenza lascia aperta la strada alla ricerca (anche) filosofica. |