Dopo una falsa partenza nel rispondere a Socrate alla domanda "Cosa mai sia la conoscenza in realtà?", il giovane apprendista geometra Teeteto, per mostrare di aver finalmente capito il tipo di risposta che gli viene chiesta, decide di farlo tramite un esempio matematico. Per questo viene puntualmente lodato da Socrate. Ma possiamo prestare credito a questa lode delle abilità definitorie di Teeteto? Basta un intelletto discorsivo e umano come quello del matematico per riuscire a definire la conoscenza? O bisogna restare in attesa di un intelletto intuitivo e divino, assente nel dialogo? In questa esposizione analizzeremo il passo alla luce della questione della definizione di numero e del suo statuto esistenziale nella filosofia della matematica platonica. In primo luogo, si esaminerà il passo in questione (147c-148d) e si cercherà di fornire alcune interpretazioni matematiche e le principali motivazioni della sua presenza nel dialogo. In secondo luogo, il passo verrà messo in relazione con alcuni passi tratti dal dialogo Fileboin cui viene fatto riferimento alla questione della definizione di numero. In terzo luogo, faremo delle considerazioni di carattere più generale sulla Teoria dei Numeri in Platone e in relazione a questa evidenzieremo una delle possibili motivazioni del fallimento di Teeteto come matematico nel definire la conoscenza. 1. Siccome Socrate aveva rifiutato una definizione per enumerazione di casi particolari come definizione soddisfacente di conoscenza, Teeteto propone un esempio di definizione universale di un termine 1. Sviluppando un suggerimento del maestro Teodoro di Cirene, Teeteto insieme al compagno di esercizi Socrate il Giovane escogita una definizione generale ripartendo i numeri in classi il cui dominio è infinito. Parafrasiamo, seguendo da vicino la traduzione del passo, la soluzione proposta dal giovane matematico. In una lezione, probabilmente pochi giorni prima del giorno del dialogo, Teodoro aveva fornito ai discepoli, disegnando "qualcosa a proposito delle potenze"2, delle dimostrazioni di incommensurabilità di alcune di queste potenze3. Presumibilmente aveva mostrato come il lato di un quadrato di tre piedi quadrati non sia commisurabile con il lato di un quadrato di area un piede (il cui lato misura dunque banalmente un piede di lunghezza), esaminando, caso per caso, partendo da 3 p2 e terminando con 17 p2. Allora, Teeteto e Socrate il Giovane decidono di classificare i numeri seguendo il filo di una doppia dicotomia. In primo luogo, distinguono i numeri quadrati o equilateri, prodotto di due fattori uguali, la cui radice quadrata è un numero intero razionale (come 4 o 9), dai numeri rettangoli, ovvero numeri che non possono essere espressi come il prodotto di due fattori uguali, ma solo dalla moltiplicazione di uno maggiore per uno minore, o viceversa (come 3 o 5). La ragione di tale distinzione è la possibilità di averne una rappresentazione grafica sotto forma di figure piane. Dopo di che, proseguendo nella diaresis, hanno denominato i lati dei quadrati, 'lunghezze' (ad esempio la lunghezza del quadrato di area 4 piedi quadrati è 2 piedi) e i lati dei rettangoli 'potenze' (ad esempio v3 è potenza di un quadrato di area 3 piedi quadrati), poiché, pur essendo incommensurabili per se stesse, hanno comunque la potenzialità di diventare commensurabili se elevate al quadrato; ovvero quando si trasforma il rettangolo che le rappresenta in un quadrato avente area uguale4. Avendo avuto successo nel dare una sola definizione della molteplicità illimitata delle potenze, Teeteto viene lodato da Socrate, il quale lo incoraggia a fare altrettanto con la definizione di conoscenza. Questo passo presenta alcune difficoltà interpretative. Esse riguardano soprattutto la terminologia matematica usata, le lacune riguardanti il processo dimostrativo di Teodoro, la funzione dell'esempio nell'economia del dialogo e il suo inserimento nelle riflessioni di Platone sulla matematica. Innanzitutto, la traduzione del termine dynamisrisulta problematica. Attualmente viene tradotto come potenza, pur se riceve così una sfumatura ambigua a causa del significato moderno del termine e non rende immediatamente trasparente il processo matematico del passo. Szabó in un articolo considera la dynamis come operazione di elevamento a quadrato : "nämlich dynamis immer nur die 'zweite Potenz' und nie eine höhere bezeichnen kann"5 e propone di tradurre il termine come "Quadrat". Heath lo traduce, all'opposto, come "square root"6. Probabilmente il termine non aveva ancora ricevuto una denotazione fissa nella terminologia matematica greca. Infatti questa parola viene usata da Teeteto in modo esplicito per indicare solo le radici irrazionali che, elevate alla seconda, generano un quadrato (figura geometrica) commensurabile con un quadrato di lato uno, anche se l'osservazione finale relativa ad un'estensione a figure solide fa pensare che egli non si riferisse solo a radici quadrate ma anche a radici cubiche, cioè a "potenze" che possono essere elevate al cubo (e forse allora anche a radici n-esime?). Teodoro, invece, sembra utilizzare il termine in un senso diverso, più generale, come radice di qualunque numero, sia commisurabile che non commisurabile con una lunghezza di un piede. Ovviamente, oltre a nominarle tutte durante la lezione, fornisce anche la dimostrazione dell'incommensurabilità di quelle irrazionali. E sono queste dimostrazioni a colpire Teeteto e ad indurlo a restringere il campo d'azione del termine dynamis alle radici irrazionali7. Chappell8 fornisce le tre interpretazioni più generali del significato del passo nell'economia del dialogo. La prima è che Teeteto fallisce in realtà anche nel suo esempio matematico, in quanto alla richiesta di presentare una definizione dell'essenza di qualcosa di già noto, fornisce una definizione stipulativa che introduce un concetto nuovo. La seconda interpretazione dice che, invece, la definizione ha successo in quanto rispecchia le caratteristiche della definizione per la visione socratica. La terza sostiene che il passo serve solo ad illustrare le brillanti capacità del giovane. Nel commento contestuale di Polansky, invece, leggiamo un'interpretazione del passo maggiormente approfondita. In essa si sostiene che i due giovani matematici applicano alla loro classificazione geometrica il metodo dialettico come presentato da Platone nel Fedro e completato con esempi concreti nel Sofista. Platone vorrebbe così suggerire che la matematica porta direttamente ad afferrare le Idee (in quanto come scrive Szabó, la matematica greca era legata al dominio del puro pensiero), e, pur se la dottrina delle specie intelligibili non viene neppure accennata nel passo, secondo Polansky Teeteto pensa proprio a queste e le applica come misura e criterio dell'universale. Vengono inoltre considerate alcune posizioni sulle questione controverse. In primo luogo, ci si chiede perché Teodoro abbia iniziato con 3 e finito con 17. La risposta più probabile alla prima questione è che la dimostrazione dell'irrazionalità di v2 era già nota ai matematici. Invece tra le motivazioni dell'arresto a 17 si sono proposti parallelismi con i 17 casi di possibilità di opinione vera e falsa9, con la teoria musicale, o si è pensato che fosse una decisione arbitraria10. Ma la spiegazione più plausibile11 se si pensa al fatto che Teodoro "disegnava qualcosa a proposito delle potenze"12 è che, avendo usato per le dimostrazioni figure costruite basandosi sul teorema di Pitagora, aveva ottenuto una figura a chiocciola13, in cui, se si va oltre il quadrato di area 17, si ottiene una sovrapposizione che rende difficoltosa l'esemplificazione grafica. Che forma aveva, invece, la dimostrazione dell'irrazionalità di Teodoro? Heath ne propone tre versioni. La prima dice che la dimostrazione avesse la forma di una successione di approssimazioni a destra e a sinistra del valore cercato, la quale però come fa notare Heath non è una dimostrazione genuina (pur se può fungere da definizione, come in un certo senso nella definizione moderna degli irrazionali ad opera di Dedekind). La seconda è che Teodoro abbia modellato le sue dimostrazioni sulla tradizionale prova mediante reductio ad absurdum dell'irrazionalità di v2; prova che però, essendo facilmente generalizzabile e non avente bisogno di un supporto grafico, non permette di spiegare il fatto che Teeteto nel suo racconto sottolinea l'importanza del disegno. La terza proposta, fatta da Zeuthen, ci sembra la più plausibile in quanto necessita di un supporto grafico e non è facilmente reiterabile per valori numerici elevati14. Polansky rileva infine che "Theaetetus' work with the powers serves as an inspiration in each stage of the rest of the dialogue"15, quasi un ritmo di accompagnamento. Come parallelismi tra l'esempio matematico e il dialogo successivo, egli nota il richiamo che il termine potenza ha con la teoria eraclitea, che il rapporto tra il lato e il suo quadrato rispecchia il rapporto tra le scienze e i loro oggetti, e che, verso la fine del dialogo:
Si noti che Teeteto non propone una dimostrazione generale di irrazionalità e neppure una definizione universalmente esaustiva di numero, ma piuttosto fornisce un processo di decisione per riconoscere a quale classe appartiene un numero. É tuttavia interessante sottolineare che egli, grazie alla sua definizione, riesce nel tentativo di trattare le grandezze irrazionali, non rappresentabili su un supporto sensibile, tramite figure geometriche. Questo porta quasi ad eliminare l'irrazionalità come tale dal suo bagaglio matematico, escogitando un metodo geometrico indiretto per commisurare grandezze incommensurabili se prese come tali. Così raffigurate, esse diventano rappresentabili e di conseguenza anche fruibili ad una intuizione sensibile. In poche parole, si limita a nominarle e a trattarle geometricamente, e non ne fornisce una definizione. 2. Teeteto non nomina mai gli irrazionali16. Non pronuncia nel passo considerato i termini alogos e arrethos. Eppure è quasi indubbio che siano loro i protagonisti del suo esempio. Narcy infatti dice che forse l'unico merito di Teeteto è aver dato una denominazione degli irrazionali alla pari degli altri numeri, ma al contrario è possibile che una vera definizione dei numeri, sia interi che irrazionali si trovi in un altro dialogo, il Filebo. Il Filebo è un dialogo tardo. L'argomento principale sembra essere quello etico, ovvero quale sia la natura del Bene, ma esso serve anche da spunto per considerazioni sulla struttura ontologica e numerica del reale. Il protagonista del dialogo è di nuovo Socrate, pur se si tratta di uno dei dialoghi della vecchiaia e dunque successivo al congedo drammatico dal maestro. I suoi interlocutori, Filebo e Protarco non sono identificati in personaggi storici, ma alcuni interpreti indicano sotto le vesti di Filebo, il matematico più famoso dell'Accademia, Eudosso17. Diogene Laertio18 narra di una ppolemica all'interno dell'Accademia tra Platone e Eudosso, matematico autore di studi sulle proporzioni e del metodo dell'esaustione, a cui si può far risalire l'origine della teoria degli irrazionali dovuta a Dedekind. In effetti nel Filebo la visione di Socrate e quella di Filebo riguardo al bene differiscono radicalmente, così forse anche il metodo di Eudosso, che era un metodo di approssimazioni sensibili (pur se universale, in quanto applicabile sia a incommensurabili che a commensurabili) e la concezione di Platone sul significato dei numeri19. Socrate in un passo20 dice che, studiando le cose bisogna passare dalla loro unità all'infinita molteplicità attraversando la mediazione del numero, "non bisogna riferire il carattere di infinità alla molteplicità, prima che si sia vista tutta la complessiva struttura numerica di questa, struttura che sta nell'intervallo tra la sua unità e la sua infinità". Il numero così è affine al "genere misto", che è tutto ciò che armonizza gli opposti ponendo fra di loro il numero21. Questo genere misto porta ad una generazione verso l'essere22. Sembra quasi che il rapporto tra limite ed illimitato, oltre ad essere il costituente del reale, sia espresso dai numeri (numeri che grazie ad una interpretazione matematica del passo ad opera di Taylor23 comprendono anche gli irrazionali) e tali armonie numeriche mettano in essere sé stesse e la realtà. Il numero nel Filebo, dunque, non ha nulla a che vedere con le grandezze geometriche che Teeteto chiama numeri, ma ha una dimensione che va oltre quella geometrica per sfociare nell'ontologia. Alla luce di un passo del Teeteto dove viene discusso e sostenuto dal giovane il contrasto tra una forma dotata di unità e l'insieme delle sue parti24, si potrebbe pensare come la definizione di Teeteto, lungi dal richiudere una molteplicità in un'unità, fornisca semplicemente un metodo di enumerazione, quindi ancora un'altra volta un mero elenco di casi particolari25. In verità, non è detto che le due visioni debbano essere contrastanti, infatti un "perfetto aritmetico" è colui che "conosce tutti i numeri", lì ha dentro di sé racchiusi come un'unità26, eppure, nel momento in cui uno si trova a compiere una computazione, come ad esempio una somma, è possibile che sbagli27, pur non potendo essere detto mancante di scienza aritmetica. Ricordiamo però che, allo stesso modo in cui sapere nominare una per una le lettere che compongono un nome non vuol dire conoscere cosa sia il nome, così sapere dire che una data grandezza si può generare in un certo modo non vuol dire aver compreso il significato di tale grandezza. Queste considerazioni ci richiamano alle osservazioni di Caveing sul fatto che nella filosofia della matematica di Platone di fatto si ammette, oltre all'infinito potenziale, l'infinito attuale, in quanto la misura della diagonale-in-sé è il termine di un processo illimitato di perfezione28. Si direbbe con un linguaggio moderno che Platone ammette la realtà del risultato di un processo al limite. L'infinito attuale ha priorità gnoseologica e logica sull'infinito potenziale, in quanto la vera comprensione delle operazioni al limite si ha una volta colta l'unità dell'illimitato nella sua essenza mediante un'intuizione intellettuale. Allo stesso modo bisogna prima comprendere la definizione, ovvero l'essenza, di qualcosa per poterne nominare gli esempi singoli. I numeri naturali possono essere messi in relazione con gli elementi loro corrispondenti nel dominio dei numeri sensibili, ma lo stesso non è possibile fare con i numeri irrazionali, in quanto la misura sensibile della diagonale del quadrato di lato 1 avrà sempre un valore definito (che è un numero intero), che però non ha nulla a che vedere con la sua vera misura, la quale è il risultato della radice irrazionale. La diagonale non sensibile avrà sì un valore, ma questo si può solo conoscere come il risultato di un processo al limite per la misura sensibile, mentre il vero valore è invece un'unità intelligibile. Tale valore si offrirà dunque alla conoscenza umana non come intuizione sensibile, ma come intuizione intellettuale29, apprensione noetica. In effetti, "la fiducia con cui la matematica antica ha fatto riferimento all'intuizione (sensibile, aggiungiamo noi - J.S.) ha portato al riconoscimento di postulati che si sono rivelati semplicemente sbagliati"30 e molti concetti tra i più fecondi della matematica non vi potranno mai e poi mai essere soggetti, come l'equazione della retta di Weierstrass31. All'opposto il privilegio accordato alla visione intellettuale non può che favorire lo sviluppo delle matematiche e non a caso Cantor (colui che forse per primo legittima matematicamente l'infinito attuale) parlando della sua teoria degli insiemi abbia sostenuto che la sua concezione di infinito tragga ispirazione dal "genere misto" del Filebo platonico (mescolanza di limite e illimitato)32. 3. Nella prospettiva platonica, alla matematica vengono attribuite molteplici funzioni33. Essa gioca un ruolo propedeutico per lo studio della dialettica nella formazione dei giovani filosofi-governanti nella Repubblica, pur se subordinata alla dialettica (come si evince dal paragone del matematico e del dialettico al cacciatore e al cuoco nell'Eutidemo), è l'evento centrale dell'anamnesi nel Menone, è lo strumento della costruzione geometrica del mondo nel Timeo. Inoltre, pare che il suo statuto nelle dottrine non scritte assuma una considerazione primaria, dove l'Uno sembra identificarsi con il Bene. ;Nella Repubblica34 si trova la divisione delle scienza matematiche in aritmetica, geometria, stereometria e astronomia. Caveing scrive, che per Platone la geometria aveva priorità sull'aritmetica, eppure Platone nella Repubblica35 pone la geometria al secondo posto dopo l'aritmetica. Inoltre, sembra che lo studio dell'aritmetica, intesa dai Greci come Teoria dei Numeri e come tale contrapposta alla logistica (tecnica del calcolo), fosse nella filosofia platonica di primaria importanza. É chiaro che questa ipotesi è insostenibile, se si assume che Platone credesse ad una corrispondenza tra numeri e segmenti geometrici che li potessero rappresentare. Ma, se si accetta come dovuto a Platone il rifiuto della definizione pitagorica di punto, in quanto ancorata allo spazio, non si può non immaginare che il filosofo potesse pensare i numeri totalmente al di là di una loro esistenza geometrico-spaziale; così il paragone tra il numero pari e la figura geometrica nell'Eutifrone, è forse un residuo della concezioni pitagoriche. Non è troppo azzardato, allora, seguire alcune riflessioni di Hösle36 e pensare che Platone volesse mettere la Teoria dei Numeri su una strada che si avvicina sorprendentemente al concetto moderno di numero, cammino che poi Aristotele è riuscito ad interrompere. Difficile riassumere in poche righe la teoria dei numeri platonica, a causa della mancanza di chiarezza dello stesso filosofo nei suoi dialoghi e delle poche testimonianza tramandateci. Le fonti principali sono gli ultimi due libri della Metafisica di Aristotele,, da prendere dunque cum grano salis, in quanto riferiscono la dottrina platonica con lo scopo di confutarla. Alcuni tra i più importanti passaggi espliciti di Platone sulla matematica si trovano nella Repubblica, ove tramite il celebre paragone della linea vengono classificate le facoltà umane e gli oggetti che tali facoltà conoscono. Siccome i quattro segmenti stanno fra di loro secondo un triplice rapporto è facile dimostrare che il segmento dell'opinione è uguale al segmento della dianoia, ovvero della conoscenza matematica. Possibile che sia l'opinione sia la dianoia siano conoscenza degli stessi oggetti? Questo è sicuramente vero nel caso di Teeteto, ma contrasta con la teoria dei numeri nel dialogo Fedone37 dove vengono distinti gli enti matematici dai numeri ideali, distinzione non esplicitamente teorizzata nella Repubblica. In questo modo, vediamo che Platone distingue tra due aritmetiche, distinzione che va al di là di quella più semplice tra la scienza pura e la scienza applicata. Da un lato abbiamo gli enti matematici mediatori tra gli enti sensibili e le forme intelligibili, che vengono conosciuti grazie ad una facoltà equivalente (o meglio equiestesa) all'opinione; ed è a questa matematica ed a queste facoltà che Teeteto si ferma. Dall'altro lato ci sono i Numeri Ideali, appartenenti al novero delle Idee e conoscibile grazie al nous, all'intuizione intellettuale. Non può essere un caso se i grandi innominati nel Teeteto siano proprio questi ultimi tre. Vediamo meglio la distinzione tra i due seguendo Wedberg38. Per Platone ci sono due tipi di aritmetiche: la sensibile e la filosofica. L'aritmetica filosofica può essere scienza di due tipi di entità aritmetiche ideali: i Numeri Matematici e i Numeri Ideali, entità che ricevono un'interpretazione realistica e mai formalistica nella filosofia platonica. I Numeri Matematici sono fatti di unità ideali, ma in sé stessi sono molteplici ed ammettono infinite copie (infiniti modi di rappresentazione sensibile). All'opposto i Numeri Ideali sono entità semplici e non composti di unità e non rappresentabili, dunque non hanno copie sensibili. Inoltre le operazioni dell'aritmetica non sono applicabili a loro (ricordiamo che Teeteto definisce le potenze in termini di operazioni che si possono compiere con esse). Platone parla di Uno, Diade, Triade, fino alla Decade. La sua teoria dei numeri conosce solo numeri interi. E i numeri irrazionali? In quanto assolutamente non passabili di rappresentazione sensibile, potrebbero a buon diritto far parte solo dei Numeri Ideali, ma, non essendoci prove di tale ipotesi, la lasciamo solo sotto forma di suggestione, sul filo del racconto di Imre Toth, il quale ha seguito la traccia della nascita ontologica dei numeri irrazionali, trasformati da meri rapporti inesprimibili e incalcolabili a numeri alla pari dei naturali, come vengono chiamati nelle Epinomide39. Vediamo, infine, il posto del Teeteto in queste ultime considerazioni. Sappiamo che la fine del dialogo non presenta alcuna dottrina positiva sulla conoscenza: Socrate rifiuta sia la definizione di conoscenza come sensazione, sia la definizione di conoscenza come opinione vera, sia quella di opinione vera accompagnata da ragionamento. Narcy sottolinea che Socrate paragona la geometria di Teeteto ad un sogno proprio dopo aver rifiutato anche la terza definizione, in quanto "Nommer correctement un élément est donc en avoir, non pas la science, mais une opinion vraie"40. É possibile anche che la leggendaria figura di Teeteto matematico sia stata forgiata successivamente al dialogo 41 e invece venga usata da Platone come esempio di una matematica che ha tutti i difetti descritti nella Repubblica sia nei metodi che negli oggetti, in quanto si limita a fare dei discorsi veri sulle proprie costruzioni e non scienza dei numeri intelligibili. Non possiamo dunque dire con Polansky che Teeteto applica, pur senza dirlo, il metodo dialettico guardando alle Idee o che la sua definizione coglie nel segno. Innanzitutto, Teeteto, pur applicando il metodo analitico si ferma decisamente a quello e non perviene a realizzare anche il secondo movimento del metodo della dialettica, ovvero il momento sinottico. Il giovane è dunque capace di vedere le differenze, ma non le somiglianze, le sue capacità sono le migliori fra gli uomini, ma non si avvicinano a quelle divine. Si noti, inoltre, che mentre Aristotele nei Secondi Analitici scrive che una definizione non garantisce l'esistenza di ciò che definisce, pare che Platone cerchi una definizione che dia le condizioni di esistenza dell'oggetto definito (forse in quanto è l'esistenza di tale oggetto a causare la possibilità di darne la definizione, come nel caso delle Idee). Come sottolinea giustamente Pritchard bisogna prestare la dovuta attenzione in modo da evitare errori di prospettiva nel paragonare la concezione dei numeri platonica con la concezione attuale41. Molte sono le differenze tra la matematica antica e quella moderna: basti pensare all'assiomatica, all'astrazione matematica, alla classificazione dei numeri. Tant'è che è impossibile far rientrare le concezioni platoniche in una delle tre teorie dominanti della filosofia della matematica moderna: platonismo, intuizionismo e formalismo. Cosa resta, allora, dell'ontologia dei numeri prospettata da Platone nella matematica moderna? La scissione è rilevabile soprattutto se la si considera in rapporto con la teoria unitaria dei numeri sviluppata nell'Ottocento. Abbiamo visto come l'esigenza di dare un fondamento ontologico alla matematica porti Platone a dare una realtà intelligibile ai numeri, sia ai naturali sia molto probabilmente anche agli irrazionali, in una dimensione metamatematica. Abbiamo inoltre sostenuto che è proprio per questo motivo che la definizione puramente linguistica e il metodo discorsivo di Teeteto, mutuati dalla sua matematica, falliscono di fronte ad una questione, cioè la definizione di conoscenza, che andrebbe trattata con il metodo dialettico e per mezzo di uno sguardo intuitivo. Nella cosiddetta aritmetizzazione dell'analisi i numeri di complessità superiore vengono ridotti a classi di numeri più elementari, ovvero la loro esistenza viene fondata all'interno di una teoria matematica. Resta comunque inesplicato lo statuto dei numeri naturali, nonostante l'assiomatizzazione delle loro proprietà ad opera di Peano, ma questo è un altro dibattito. Questa teoria forse rappresenta un passo indietro verso una concezione della matematica come credenza linguistica, in un certo senso affine a quella di Teeteto, rispetto alla concezione platonica della matematica come sapere intelligibile e reale. "Non entri chi non sappia la geometria" dunque? Forse, invece, la tradizione avrebbe dovuto far scrivere a Platone sulla porta dell'Accademia: "Non entri chi non sappia l'analisi". NOTE 1 Pl. Tht., 147c-148d. 2 Pl. Tht. ibid. 3 Dynamis significa letteralmente potenza, ma dal contesto del passo si evince che si tratta probabilmente di radice quadrata. 4 Si veda anche la proposizione 9 del libro X degli Elementi di Euclide nell'edizione a cura di Geymonat, la quale presenta un'esposizioni per alcuni aspetti simile e per molti altri differente dal passo del Teeteto, aspetti di cui però non ci occuperemo in questa sede. 5 Szabó, 1963, p. 221, si veda anche Polansky, 1992. 6 Heath, 1960, p. 209. 7 Purtroppo non ci è possibile approfondire in questa sede la questione del significato di dynamis nel linguaggio platonico e nel linguaggio matematico greco e di come abbia assunto il significato attuale; per alcuni di questi aspetti si vedano Szabó, 1963 e Heath, 1960. 8 Cfr. Chappell, 2004, pp. 40-41 9 Pl. Tht., 192a-c. 10 Cfr. Polansky, 1992, p. 55 11 Cfr. Frajese, 1963, pp. 162-163. 12 Pl. Tht., 147d. 13 Difficile non pensare, leggendo questa interpretazione, alla spirale logaritmica, cioè al frattale denominato albero di Pitagora. 14 Cfr. Heath, 1960, pp. 204-209. 15 Polansky, 1992, p. 57. 16 Tralasciamo in questa esposizione la presentazione del ruolo che la dimostrazione dell'irrazionalità gioca nei dialoghi platonici, cfr. Toth 1998, Frajese 1963. 17 Per questi e tutti i seguenti riferimenti al Filebo, cfr. M. Migliori, L'uomo fra piacere, intelligenza e bene. Commentario storico-filosofico al Filebo di Platone introduzione di Thomas A. Szlezák, Milano: Vita e Pensiero, 1993. 18 Diog. L., Vite dei filosofi II, 87. 19 Eudosso, secondo la fonte di Apollodoro, fiorisce nel 368-365 a.C., dunque potrebbe essere nato nel 408 a.C. e morto nel 355 a.C., Teeteto probabilmente è vissuto tra il 415 a.C. e il 369 a.C., secondo la datazione di Eva Sachs. 20 Pl. Phil. 16d-17b. 21 Per una migliore esposizione di questa dottrina si veda Toeplitz, 1965, pp. 57-59. 22 Pl. Phil. 25b-26d. 23 Taylor in Migliori, op. cit, p. 152. 24 Narcy, 1994, p. 313 (nota). 25 Pl. Tht. 204a-b. 26 ivi. 198b-c. 27 ivi. 196b. 28 Caveing, 1996, pp. 15-16. 29 Caveing, ivi. 30 Asmus, 2004, p. 208, (trad. mia - J.S.). 31 Cfr. Asmus, 2004, ibid. 32 Cfr. Asmus, 2004, ivi. 33 Per le discussioni storiche sul contributo di Platone e dell'Accademia platonica alla matematica, si vedano Heath, 1960, vol. I, pp. 284-315 e Morrow, 1970. 34 Pl. Rep. 526c-528e. 35 Pl. ivi. 36 Hösle, 1994, pp. 52-53. 37 Cfr. Wedberg, 1955, pp. 63-84. 38 Wedberg, ivi. 39 Cfr. Toth, 1998, pp. 29-38. 40 Narcy, 1994, pp. 7-69. 41 A questo proposito faccio riferimento a Burnyeat, 1978. BIBLIOGRAFIA
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