• L'azione politica dovrebbe scaturire dai bisogni più autentici e vitali dell'essere umano.

    La politica dovrebbe basarsi su ragioni etiche e spirituali, ma anche su istanze estetico-creative, nel senso che l'impegno politico dovrebbe essere animato da uno spirito ludico e disincantato, da una sincera passione ideale e da un profondo elemento di piacere e speranza assieme, da un motivo di ricerca della felicità che appaghi un bisogno interiore di autorealizzazione della persona umana. In tal senso la politica dovrebbe essere l'espressione della volontà e della libera creatività dell'animo umano, che si realizza nel confronto interpersonale, nella pacifica convivenza sociale e nella dialettica democratica.

    Inoltre, la politica dovrebbe essere soprattutto un mezzo di aggregazione e di partecipazione sociale, uno strumento concreto, diretto e corale per concorrere e intervenire sui processi decisionali che interessano l'intera collettività; è una modalità di socializzazione tra gli individui, la più elevata e raffinata forma di socialità umana. Del resto, l'etimo greco antico del termine, da "polis" (ossia: città), esprime il senso della più nobile e sublime tra le attività proprie dell'uomo, indica la suprema manifestazione delle potenzialità e delle prerogative attitudinali dell'essere umano in quanto essere sociale. Tale somma capacità dell'uomo si estrinseca nella politica in quanto attuazione dell'"AUTOGOVERNO DELLA CITTÀ".

    Oggi purtroppo, l'antico valore della politica s'è perso e consumato del tutto, soprattutto dopo l'avvento dell'economia di mercato e dello Stato capitalistico-borghese, avvolto nell'involucro protettivo di una falsa "democrazia" puramente formale e rappresentativa (ormai in fase di netta decadenza), un ordinamento giuridico-statale che rappresenta un modo per ingannare la gente con il consenso della gente stessa. Quell'originario senso della politica si è ormai deteriorato, tralignando nella più ignobile e squallida "professione", ovvero nell'esercizio del potere riservato a pochi "addetti ai lavori", ovvero ai professionisti della politica. Quella che era considerata un tempo una nobile arte ed un'occupazione elevata dell'uomo, la Politica appunto (con la "P" maiuscola), si è totalmente svuotata di senso ed è oggi concepita e praticata quale mezzo per appropriarsi ed impadronirsi della città e delle sue risorse, umane, materiali e territoriali, ossia una carriera da intraprendere e percorrere se si vuole mettere le proprie luride mani sui beni e sulle ricchezze del bilancio economico del Comune che, come tale, dovrebbe appartenere a tutti, dovrebbe essere un patrimonio collettivo, quindi gestito direttamente dalla comunità dei cittadini.

    Tale visione e pratica del potere decisionale, in quanto appannaggio esclusivo di una ristretta cerchia di privilegiati, ovvero i padroni del Palazzo, devono essere respinte e contrastate con forza, perché quel soggetto sociale organizzato in gruppo o partito politico, convenzionalmente chiamato "ceto politico dirigente", non appena ha conquistato il privilegio dato dal potere esclusivo sulla Città, si disinteressa altamente del bene comune, per occuparsi semplicemente dei propri loschi affari di casta, di corporazione o di élite, oppure di singoli individui.

    Questo stato di corruzione della politica, che non è più un'esperienza di autogoverno della comunità dei cittadini, ma un interesse privato ed egoistico di una minoranza sempre più circoscritta, è la causa principale che ha generato un sentimento di crescente indifferenza e disaffezione dei cittadini verso le vicende della politica, ovvero del governo della polis, in quanto rappresentativo degli interessi di pochi affaristi e trafficoni, nella misura in cui tale vicende sono recepite come estranee e distanti dagli interessi collettivi. Questo crescente distacco della "società civile" dal Palazzo del potere scaturisce dalla progressiva affermazione di un quadro politico retto su un assetto di condizioni economico-sociali di iniquità e diseguaglianza, di rapina e di espropriazione, derivanti da rapporti gerarchico-verticistici di supremazia e sottomissione, di comando ed obbedienza, di dominio e soggezione, per cui i Cittadini dell'antica Polis greca, o del Comune autonomo del Medioevo, o della Comune della prima Rivoluzione francese, o della Comune parigina del 1870, sono stati ridotti e costretti ad uno stato di sudditanza, provvisti solo di diritti formali e fittizi, privi di qualunque potere decisionale e sostanziale di autodeterminazione e autogestione politico-sociale.

    Pertanto, oggi è più che mai necessario riscoprire il valore originario della politica, presente in modo effettivo nell'esperienza dell'antica democrazia ateniese, nella vicenda dei Comuni italiani del 1200, della Comune operaia di Parigi del 1870.

    Occorre rivalutare e rilanciare l'"UTOPIA CONCRETA" dell'autogestione popolare e dell'autogoverno della comunità dei cittadini, guardando con interesse e con piacere alla viva esperienza dei MUNICIPI AUTONOMI come, ad esempio, Porto Alegre in Brasile, e sperimentando nella realtà delle piccole comunità locali l'idea zapatista della politica come rifiuto e critica radicali del potere, ovvero come partecipazione diretta di aree sempre più ampie della popolazione ai canali decisionali, a cominciare dai processi di controllo e di gestione delle spese economiche del bilancio comunale.

    L'utopia della DEMOCRAZIA DIRETTA, a livello locale, è oggi non solo possibile, ma altresì necessaria, di fronte ad un nuovo, prepotente fenomeno di carattere autoritario ed antidemocratico, determinato dall'avvento di un "nuovo ordine imperiale" che ha segnato la crisi e il declino della sovranità democratica, seppure solo formale, degli Stati nazionali, soppiantati dallo strapotere, illimitato e smisurato, di organismi economici sovranazionali che dirigono e controllano le dinamiche dell'economia di mercato e dei suoi assetti più propriamente bancari e finanziari, che si sono rapidamente affermati su scala mondiale. Questo fenomeno di globalizzazione neocapitalista ha determinato un pauroso incremento ed un'ascesa inarrestabile del potere dei gruppi capitalistico-finanziari più forti, in particolare delle multinazionali, con danni e costi inimmaginabili e irreparabili per i diritti civili e sindacali, le libertà democratiche, i redditi dei lavoratori del sistema produttivo, di quello industriale prima di tutto, la cui condizione si fa sempre più precaria e vulnerabile, ossia più facilmente ricattabile.

    Per tali ed altre ragioni, oggi è più che mai necessario:

    "PENSARE GLOBALMENTE ED AGIRE LOCALMENTE".