Non c'è dubbio che l'emigrazione intellettuale rappresenta la più grave perdita di ricchezze, la sciagura peggiore che possa capitare ad una comunità, poiché questa è costretta a rinunciare alle sue personalità migliori, alle intelligenze più pronte e vivaci, a privarsi dei suoi figli più capaci e brillanti, quindi delle risorse più preziose. Ebbene, la nuova emigrazione irpina rivela aspetti che prima erano assolutamente inediti e sconosciuti, trattandosi di una fuga in massa di cervelli, ossia di un'emigrazione giovanile di tipo intellettuale, quasi un esodo massiccio con elevate percentuali e livelli di scolarità. Infatti, i giovani più intelligenti, colti e preparati fuggono dal luogo in cui sono nati, cresciuti e dove hanno studiato, anche perché non intendono (giustamente) soggiacere e piegarsi al ricatto clientelare imposto dai notabili politici locali che li costringono a mendicare la concessione di un lavoro che invece è un sacrosanto diritto che spetta ad ogni cittadino. Ma si sa che da noi la "cittadinanza" rappresenta un lusso riservato a pochi eletti e privilegiati, ai "figli di papà". Invece, i "figli del popolo", della povera gente, sono condannati ad elemosinare continuamente favori, elargiti attraverso un metodo arcaico che è probabilmente un antico retaggio del feudalesimo. Una prassi comune applicata sia per ricevere un misero lavoro (oltretutto a tempo determinato, mal pagato, senza diritti e tutele), sia per ottenere qualsiasi altra cosa, anche la più banale richiesta di un certificato, scambiando e svendendo i diritti come volgari concessioni in cambio del voto a vita. Questo è purtroppo un (mal)costume insito nella "normalità" della vita quotidiana, una situazione quasi "naturale ed ineluttabile", un elemento immodificabile insito in un'ipotetica e immaginaria legge di natura, che in realtà non esiste. Infatti, la legge naturale non è applicabile alla dialettica storica, che invece è caratterizzata e determinata da tendenze e controtendenze, sempre mutevoli, in stretto rapporto di interazione e reciproca influenza, per cui nulla è davvero eterno ed immutabile nella realtà storico-sociale, come è confermato, ad esempio, dalle rivoluzioni epocali che in passato hanno abolito i privilegi aristocratico-feudali, lo sfruttamento della servitù della gleba e della schiavitù. Fenomeni che per secoli, se non millenni, gli uomini hanno accettato quali condizioni assolutamente "giuste", in quanto definite come "naturali e inevitabili".
Inoltre, mi permetto di fornire una serie (davvero inquietante) di cifre statistiche relative alla realtà delle nostre zone. Trattasi di dati riferiti dall'Istat, che dunque non possono essere tacciati di "faziosità". In Irpinia la percentuale della popolazione che versa in condizioni di povertà, si attesta ben oltre il 20 per cento. Il tasso della disoccupazione giovanile in Irpinia è salito oltre il 51 per cento, aggirandosi intorno al 52 per cento: quindi, nella provincia di Avellino (più di) un giovane su due è disoccupato. Inoltre, e questo è un motivo di ulteriore apprensione, il numero dei disoccupati che hanno superato la soglia dei 30 anni è in costante aumento. Molto elevato è altresì il numero dei disoccupati ultraquarantenni, che dunque nutrono scarsissime speranze e possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro. Nel contempo, anche in Alta Irpinia si diffondono e si estendono a dismisura i rapporti di lavoro precarizzati, soprattutto in quella fascia di giovani che hanno tra i 20 e i 25 anni, ossia tra i giovani alla loro prima occupazione lavorativa. Aggiungo che l'Irpinia, e l'Alta Irpinia in modo specifico, detiene un angosciante primato: quello del più alto numero di suicidi (oltre 40 casi sono stati registrati solo nel 2006, e il 2007 non sembra aver invertito questa lugubre tendenza) per quanto riguarda l'intero Meridione. Un primato tristemente condiviso con la provincia di Potenza. All'origine di questo doloroso e inquietante fenomeno starebbero anzitutto due ordini di cause: la miseria economica e il disagio psicologico. Inoltre, i tossicodipendenti in Irpinia si contano a centinaia; i decessi per overdose risultano in continuo e pauroso incremento. Da questo punto di vista, le realtà di Caposele, Calabritto e Senerchia formano un vero e proprio "triangolo della morte", così come la zona è stata mestamente definita in seguito ai numerosi decessi causati da overdose. Comunque, è estremamente difficile quantificare con esattezza la portata di un fenomeno come l'uso di sostanze tossiche nei paesi irpini, ma basta guardarsi intorno con maggiore attenzione per rendersi conto della gravità della situazione. I Ser.T (Servizio Tossicodipendenti), ad esempio, non sono affatto rappresentativi delle tossicodipendenze in Irpinia perchè qui si recano, in genere, eroinomani che hanno bisogno di assumere il metadone oppure quando, segnalati dalla prefettura, sono costretti a seguire una terapia. Dunque, stabilire con precisione quanti siano i consumatori di altre sostanze (cannabis, cocaina, crac, kobrett, psicofarmaci, alcool) è praticamente impossibile. Certo è che piccoli paesini con più o meno 4 mila abitanti, come Andretta o Frigento, hanno assistito ad una crescita davvero spaventosa del fenomeno negli ultimi dieci anni. In queste piccole realtà montane si conta ormai un elevato numero di giovani tossicomani che fanno uso di sostanze deleterie quali l'eroina, il kobrett e il crac, i cui centri di spaccio sono da ricercare altrove, notoriamente identificati nelle periferie e nei quartieri più depressi e degradati dell'area metropolitana di Napoli, come, ad esempio, Scampia e Secondigliano. Tali dati, pur nella loro gelida ed agghiacciante "asetticità", ci consegnano un quadro davvero allarmante di cause che probabilmente inducono i nostri giovani migliori, più capaci e brillanti, a "fuggire" dalla terra in cui sono nati e cresciuti, per riscattarsi ed emanciparsi altrove, per fare fortuna in altri posti, per realizzarsi ed avere successo non solo in ambito lavorativo e professionale, esprimendo tutto il loro potenziale talento, che invece verrebbe frustrato e mortificato se restassero qui da noi, in terra irpina. |