L'antisemitismo non è uno scherzo e non si può liquidare certamente con alcune freddure tanto stupide quanto inappropriate sull'"antiscemitismo", che non suscitano alcuna ilarità se non quella di qualche pennuto affetto da aviaria. Quando parlo di "antisemitismo" mi riferisco sia all'antisemitismo storico, convenzionalmente inteso, ovvero il comune, classico razzismo contro gli Ebrei, vittime dell'Olocausto compiuto dai nazisti, sia all'antisemitismo odierno commesso contro il popolo palestinese, anch'esso appartenente alla stirpe "semitica", anch'esso vittima di una politica di persecuzione e di aggressione imperialista, di atti sistematicamente ostili e terroristici, di veri e propri eccidi di massa, di cui ben conosciamo i responsabili. Il razzismo vero e proprio, il peggior "antisemitismo", non semplicemente ideologico, ma brutalmente politico-militare, è quello messo in pratica da coloro che rappresentano i veri criminali, assassini e terroristi, vale a dire il regime sionista di Israele e i suoi soci anglo-americani. Altrimenti, come si potrebbe definire la politica di persecuzione e sterminio portata avanti negli ultimi decenni dallo Stato di Israele con l'appoggio, più o meno tacito, degli USA, contro popolazioni inermi e non militarizzate che vivono nella striscia di Gaza? Rammento che una risoluzione dell'ONU, la 1544 del 19 maggio 2004, ha condannato le violenze israeliane in quella regione, chiedendone l'immediata cessazione. Ma, come tantissime altre risoluzioni delle Nazioni Unite, anche questa è stata disattesa e violata da Israele, che è il vero "Stato canaglia" del Medio Oriente. Ricordo che Israele possiede da decenni la bomba atomica, ma nessuno si è mai azzardato a condannarla o criticarla per questo, mentre si cerca di strumentalizzare in modo assolutamente pretestuoso la semplice volontà del regime iraniano (un regime indubbiamente tirannico ed oppressivo, che io non approvo affatto) di dotarsi di armi nucleari, così come hanno fatto in passato gli USA (che sono stati gli unici ad usare armi atomiche contro popolazioni civili, in Giappone, nell'agosto del 1945), l'ex URSS, la Gran Bretagna, la Francia, l'India e il Pakistan. Ricordo che il Mossad (il famigerato servizio segreto israeliano) era al corrente in netto anticipo del piano che prevedeva l'attentato dell'11 settembre 2001. Non a caso, in quegli edifici non si trovava nessun cittadino ebreo, in quanto pare che si fossero tutti messi in "malattia" proprio quel giorno! Non è strano che nell'elenco delle tremila vittime circa, sepolte sotto le Torri Gemelle non figuri alcun nome ebraico? (Inoltre, detto per inciso, le Twin Towers vennero abbattute in seguito all'impatto dei due aerei o, piuttosto, crollarono per effetto di un'implosione innescata volontariamente? Non sono soltanto io a chiederlo, ma lo ipotizzano da tempo anche numerosi esperti di ingegneria edile, e non solo.)
Se con l'orribile accusa di "difensore di criminali" si intende infamare chiunque si schieri a fianco delle popolazioni palestinesi, assolutamente inermi e non militarizzate, che vivono nella striscia di Gaza e sono massacrate senza pietà dalle truppe israeliane, ebbene sì, ammetto che quella definizione si adatta al sottoscritto. Così come mi ritengo uno strenuo difensore della causa e delle ragioni del popolo ebraico quando questo è stato ed è oggetto di razzismo, così come quando fu vittima dell'Olocausto, degli eccidi di massa nelle camere a gas, nei lager nazisti durante il secondo conflitto mondiale. Tale chiosa mi serve per spiegare ulteriormente la mia posizione in materia di "antisemitismo". Sarebbe tuttavia assurdo e complicato se cominciassimo a risalire indietro nel tempo, sino agli albori dello Stato di Israele, o addirittura più indietro, sino alla nascita e alla costituzione del movimento sionista internazionale. Un movimento che è stato (ed è tuttora) propugnatore irriducibile della causa ebraica più oltranzista, ed ha fatto ricorso anche a metodi, attività e pratiche terroristiche, che ancora oggi sono una prerogativa e una costante della politica di Israele e del sionismo internazionale. Dunque, mi limiterò (per il momento) a formulare una precisa, elementare, ma agghiacciante domanda: come mai chi difende a spada tratta lo Stato di Israele contro i suoi nemici e si adopera in tutte le maniere per denunciare ogni accenno di antisemitismo, non reagisce allo stesso modo, non si indigna minimamente, non si commuove neppure a compassione di fronte alle violenze, ai patimenti e alle sopraffazioni sofferte per lunghi decenni dal popolo palestinese, a causa di uno Stato il cui popolo ha vissuto per secoli le medesime ostilità e persecuzioni, in tutto il mondo, ma soprattutto durante la seconda guerra mondiale? La "diaspora" del popolo palesinese non merita lo stesso rispetto e la stessa considerazione che riconosciamo (giustamente) alla "diaspora" del popolo ebraico? Il genocidio del popolo palestinese non merita la stessa condanna, la stessa risposta e risoluzione, adottate rispetto all'Olocausto contro gli Ebrei? Nel contempo mi preoccupo di far presente che non sono affatto antisemita. Non sono antisemita in quanto non disprezzo, non perseguito, non insulto alcun popolo di origine semitica, sia che si tratti del popolo ebraico che di quello arabo, dato che non ho alcuna ragione personale, o di altra natura, per farlo. Invece, confesso di essere antisionista, nella misura in cui condanno con fermezza la politica di aggressione e di espansionismo economico-militare perseguita negli anni da Israele ai danni delle popolazioni palestinesi, sempre più confinate ed incalzate nella striscia di Gaza, costrette a subire quotidianamente stragi, persecuzioni e violenze d'ogni tipo da parte di truppe ostili ed occupanti. Ho letto qualcosa a proposito di uno dei più grandi uomini della storia non solo ebraica ma universale, un vero ebreo socialista, laico ed antisionista: Martin Mordechai Buber. Il quale sosteneva che lo Stato di Israele, ancora lungi dalla sua nascita, non avrebbe dovuto assumere un'identità di tipo etnico-confessionale. Quest'uomo, dotato di buon senso, pensava alla costituzione di un unico Stato che riunisse tutti i semiti presenti in Palestina. Invece, altri "padri fondatori" della nazione israeliana, di diversa estrazione politico-ideologica, hanno voluto ed imposto la formazione di uno Stato su basi etnico-religiose, strutturato in senso esclusivista e razzista. Tra i nomi dei leader sionisti che hanno contribuito alla creazione dello Stato israeliano come si configura oggi, è inevitabile citare: Davide Ben Gurion, capo dell'Hagamah, l'Agenzia ebraica sionista; Shamir e Begin, capo dell'Irgun, nonché la famigerata Banda Stern, descritte dai Britannici (e non dal sottoscritto) come vere e proprie organizzazioni terroristiche. In senso opposto si muoveva Martin Buber. Questi è ritenuto uno dei padri spirituali della patria e della nazione israeliana, un poì come il nostro Giuseppe Mazzini (scusate il paragone, forse un po' azzardato). E' stato uno dei più importanti filosofi del secolo scorso. Era di orientamento esistenzialista e socialista, ma dissentiva profondamente nei confronti dell'ideologia sionista. Martin Mordechai Buber era esattamente di nazionalità austriaca e di origine ebraica. Aderì inizialmente al movimento sionista internazionale, ma se ne distaccò molto presto, non appena si rese conto della vera natura di quel movimento, per aderire ad una filosofia di ispirazione esistenzialistica e socialista, e abbracciare la causa della convivenza pacifica tra i popoli in Palestina. Infatti, egli sosteneva che lo Stato di Israele, che si sarebbe formato nel 1948, non dovesse reggersi su un fondamento etnico-confessionale (come poi è accaduto), tanto meno di tipo oltranzista. Basti pensare ai vari gruppuscoli estremistici di destra e alle diverse formazioni politico-religiose integraliste, ben rappresentate nel Parlamento israeliano. Oppure si pensi solo al Likud, un partito di orientamento ultraconservatore, che costituisce la principale forza politico-istituzionale del paese, insieme al partito socialista. Per contro, Martin Buber pensava alla creazione di un unico Stato che riunisse tutti i popoli semiti in Palestina, Ebrei ed Arabi musulmani, per metterli in condizione di convivere pacificamente e di condividere, con pari dignità e pari diritti, le responsabilità della direzione e dell'organizzazione politica, economica e sociale di uno Stato non confessionale, ma laico e inter-religioso. Altro che "due popoli e due Stati": un solo popolo ed un solo Stato! Questa era la geniale, ambiziosa ma non utopica, in qualche modo "profetica" visione di Martin Buber. Invece, Ben Gurion, Begin, Shamir ed altri leader sionisti, moderati o estremisti che fossero, hanno pensato e partecipato alla creazione di Israele così come esso si struttura oggi: uno Stato ebraico di natura etnico-confessionale, con aspirazioni imperialistiche accentuate e prepotenti, ossia con una decisa predisposizione all'aggressività ed all'espansionismo verso l'esterno. Restando in tema, voglio citare una frase che mi piace molto, per poi congedarmi. L'autore è sicuramente un ebreo, ma ignoto; tuttavia il senso del concetto è senza dubbio condivisibile da parte di tutte le persone dotate di buon senso. Ecco la frase: "Se tu scrivessi ebrei invece di israeliani, coinvolgeresti anche me che sono ebreo, ma non israeliano, e che sono antisionista". In questa felice affermazione è riassunta tutta la differenza semantica, politica e culturale tra i concetti di "antisemitismo" ed "antisionismo". Alcuni opinionisti "filoscemiti" e filosionisti di casa nostra asseriscono che Israele avrebbe fatto bene a violare le risoluzioni dell'ONU, compresa l'ultima in ordine di tempo, la 1544, al fine di proteggersi dai suoi nemici. Dunque costoro, come Israele, si auto-escludono dalle norme della legalità internazionale, dalla civile convivenza tra i popoli, per cui meritano solo parole di biasimo e disapprovazione. Tornando alla questione dell'antisionismo, voglio ribadire la mia posizione nettamente contraria al sionismo come dottrina politica. Tuttavia, tale posizione non può essere confusa, se non in malafede, con l'antisemitismo, e tanto meno con il negazionismo. Bisogna ripudiare e condannare qualsiasi manifestazione razzista, contrastare ogni insorgenza nazi-fascista, rigettare tutte le idee e le opinioni che tendono a separare gli uomini e i popoli in "superiori" ed "inferiori". Proprio per tali ragioni ritengo che l'assunzione del sionismo come base fondativa dello Stato di Israele abbia condotto a politiche persecutorie ed aggressive verso i popoli confinanti e soprattutto verso i legittimi abitanti della Palestina. Occorre proclamare con forza che lo Stato di Israele, fino a quando si definirà lo Stato Ebraico anziché uno Stato laico e non confessionale, sarà sempre uno Stato fondato sull'esclusione e sulla discriminazione religiosa e razziale. E' necessario denunciare e riprovare le occupazioni e le aggressioni di Israele contro i popoli e i Paesi dell'area mediorientale, fino a quando lo Stato di Israele continuerà ad aggredire ed occupare territori altrui, violando le risoluzioni dell'ONU. Infine, è molto importante saper distinguere tra ebrei ed israeliani, e parlare di "politiche aggressive di Israele e dell'esercito israeliano", e non di Stato ebraico. Shalom! |