• Ormai non si contano più le inchieste, i dossier, i libri, i saggi e quant'altro è stato scritto e pubblicato sul tema della tossicomania giovanile.
    Infatti, si rimane letteralmente sorpresi dalla facilità o, per meglio dire, dalla faciloneria e dal semplicismo, con cui le persone più diverse tendono ad occuparsi dell'argomento. Tutti, o quasi, sembrano ritenersi e proclamarsi "esperti" del problema e sono disposti a trattarlo con eccessiva disinvoltura e superficialità. Spesso solo per sentito dire, spinti dall'onda emotiva di una tragica notizia, ripetendo e citando frasi fatte, abusando di argomenti triti e ritriti, senza documentarsi col dovuto rigore scientifico, discorrendo a sproposito, in base a pregiudizi e stereotipi convenzionali che alla fine si rivelano per ciò che realmente sono: opinioni assolutamente false e distorte, intrise di bigottismo e saccenteria moralistica.
    La conseguenza più disdicevole di un simile andazzo è quella di compromettere ogni possibilità di indagine e comprensione delle cause di fondo del problema e, in ultima analisi, quella di precludere ogni possibilità (e volontà) di risolverlo alla radice.
    Pertanto, è lecito ed opportuno chiedersi se abbia senso scrivere un altro, l'ennesimo articolo su questa difficile e delicata materia.
    Io credo che un senso ce l'abbia, proprio in virtù dell'eccessiva confusione, di origine viscerale ed emotiva (derivante da una paura ancestrale e irrazionale), a causa dei tanti orpelli e delle apparenze ingannevoli, dell'alone di ignoranza e di oscurantismo che ancora circonda la questione. Soprattutto nelle piccole realtà di provincia, laddove prevalgono abitudini e personalità ciarliere, laddove si tende ad esagerare sia nel bene che nel male (in questo caso, nel male), lavorando molto di immaginazione, alterando anche la più semplice e banale verità, costruendo un cumulo di menzogne, bugie, invenzioni, pettegolezzi, idiozie e baggianate, a partire da un minuscolo, insignificante sassolino.
    Non nutro certo vane illusioni, non ho la sciocca e velleitaria pretesa di far luce laddove regna la massima oscurità, soprattutto perché estremamente difficile, se non impossibile, comunicare con chi non intende capire ed ascoltare. Nel contempo voglio provare a dire la mia, visto che in tanti (forse troppi) lo fanno abitualmente, arrecando talvolta danni di non poco conto. Spero di non procurarne altri.
    In sostanza, mi propongo di offrire una chiave di lettura nuova ed originale rispetto a un fenomeno in netta ascesa anche nel nostro territorio.

    Droga e disadattamento
    Premetto subito che in questo contesto la droga sarà trattata soprattutto in termini di tossicomania e farmacodipendenza.
    In tal senso, occorre precisare che alcune sostanze, note come "droghe legali", sono a tutti gli effetti sostanze psicotrope, stupefacenti e tossicologiche, in quanto determinano effetti tossici, provocano assuefazione e modificazioni delle funzioni psicofisiche, quali ad esempio i barbiturici, i tranquillanti, gli eccitanti, gli ipnotici e tutti quei prodotti a bassa concentrazione di oppiacei, liberamente venduti in farmacia.
    Mi riferisco agli psicofarmaci in genere, ovvero a quelle droghe non soggette al divieto di legge, per cui non risentono della disapprovazione sociale, mentre altre sostanze, quali ad esempio la canapa indiana e i suoi derivati, hashish e marijuana (che producono danni minori di un sonnifero, di un'anfetamina o di un coadiuvante della fatica), essendo proibite, sono condannate a priori, per cui chi ne fa uso, magari solo occasionalmente, viene biasimato, criminalizzato e perseguito alla stessa stregua di uno spacciatore o di un consumatore di eroina, cocaina e crac.
    Ciò è maggiormente vero, purtroppo, alla luce della nuova legislazione vigente in materia, varata dal precedente governo di centro-destra.
    Io sono convinto, e intendo dimostrarlo, che le tossicodipendenze sono un aspetto particolare e fenomenico di un problema ben più grave, ampio e profondo, definibile come disagio o disadattamento giovanile, che sta all'origine di tutte quelle forme di devianza dalla norma che acquistano nelle società capitalisticamente più avanzate dimensioni sempre più massicce e preoccupanti, soprattutto all'interno della popolazione giovanile. Soprattutto in quelle fasce del proletariato e del sottoproletariato giovanile che vivono sulla loro pelle le contraddizioni, la violenza, l'alienazione, l'emarginazione, il malessere e lo squallore del vivere quotidiano. Uno stato di cose che ormai non appartiene più solo alla complessa, vasta ed eterogenea realtà delle metropoli, sempre più urbanizzate, inquinate e cementificate, sempre più atomizzate e ghettizzate, sempre più depresse, immonde e degradate, ma investe anche le più piccole e, in apparenza, semplici e omogenee realtà di provincia, persino i paesini di montagna dell'Irpinia e delle aree interne presenti nel Mezzogiorno.
    Quelle che una volta si potevano considerare quali "comunità a misura d'uomo" o "amene realtà di provincia", oggi non lo sono più, almeno nelle forme e nelle caratteristiche di un tempo ormai remoto, sepolto nell'oblio.
    È davvero inquietante scoprire l'alta percentuale di tossicomani, farmacodipendenti e alcoldipendenti, di vittime per overdose, tra i giovani che vivono all'interno delle comunità montane dell'Irpinia, laddove i giovani sono in netto calo, vivono poche migliaia di anime, in molti casi addirittura poche centinaia, laddove è in atto un pauroso e inarrestabile decremento demografico, i giovani tendono a fuggire, ad emigrare, pur avendo raggiunto un elevato livello di istruzione scolastica e universitaria.
    Le popolazioni di questi piccoli centri di montagna stanno invecchiando velocemente e sembrano fatalmente destinate all'estinzione nel giro di pochi decenni, a meno che non si provveda tempestivamente ed efficacemente ad invertire l'attuale tendenza negativa.

    Diffidare dei facili moralismi
    Intendo chiarire un punto essenziale, a scanso di eventuali equivoci.
    Il presente discorso non sottace un giudizio moralistico, risultato di una presa di posizione aprioristica e bigotta, bensì contiene un tentativo di analisi e di interpretazione obiettiva e distaccata, di ragionamento lucido e disincantato, per quanto possibile, sui mutamenti in atto nei nostri paesini, da secoli chiusi e arroccati sui monti irpini, in cui all'improvviso sembrano sorgere drammatiche emergenze ambientali e sociali, rischiano di esplodere violente contraddizioni, frutto di travagli e sofferenze di massa.
    È necessario assumere un approccio metodologico sempre più razionale e rigoroso rispetto a tali problematiche, per evitare di incorrere in errori e pregiudizi di natura emotiva, che potrebbero inficiare le possibilità di conoscenza, ostacolando in partenza ogni tentativo di risoluzione o, comunque, di risposta politicamente valida e credibile.
    In altre parole, lo spirito con cui intendo affrontare la tematica delle tossicodipendenze è quello espresso in chiave artistica in alcuni cult-movie quali "Amore tossico" (del 1983) e "Trainspotting" (del 1996), ovvero rifuggendo da ogni punto di vista e da ogni (pre)giudizio di tipo moralistico, per provare a pormi in un'ottica il più possibile analitica e scientifica.
    Pertanto, io diffido e invito i lettori a diffidare delle notizie allucinate e allucinanti diffuse dalla stampa e dai mezzi di (dis)informazione di massa, tese a creare panico e confusione, a generare effetti di demonizzazione del fenomeno, che invece va inquadrato e interpretato realisticamente, va indagato con rigore scientifico, sgombrando il campo da tutti i più beceri ed insulsi luoghi comuni.
    Sotto questo profilo occorre riflettere, ad esempio, sul fatto che la droga nella nostra epoca, anche nelle nostre zone, occupa il posto che un tempo apparteneva al diavolo e alle streghe, ovvero al lupo cattivo nelle favole per i bambini, ossia quel ruolo che contrassegna l'elemento negativo e diabolico per antonomasia: il male. E questo è già di per sé una iattura, nel senso che costituisce un approccio profondamente errato, fuorviante e rovinoso, che inevitabilmente induce l'opinione pubblica a legittimare e avallare scelte politiche filoproibizioniste, ad invocare provvedimenti autoritari e leggi "eccezionali" che non risolvono affatto il problema, bensì lo aggravano, per scatenare e suscitare risposte puramente repressive.
    In tal modo si finisce per accrescere e inasprire l'entità del fenomeno, introducendo un aspetto di allarmismo psicologico, una questione di polizia e di ordine pubblico che si sovrappone ad una problematica che è di natura medico-sanitaria, culturale e socio-educativa.

    Un po' di storia
    Ricordo che in determinati momenti storici le droghe si sono rivelate molto utili in chiave repressiva contro i movimenti giovanili, contro le minoranze etniche e sociali, contro le avanguardie politiche che si contrapponevano frontalmente al sistema sociale dominante.
    Alcune droghe pesanti sono state impiegate scientificamente soprattutto in funzione politica conservatrice e controrivoluzionaria, per affrontare e sedare quei fenomeni di contestazione e di rivolta ritenuti una pericolosa minaccia per l'ordine costituito, ossia per l'ordine padronale.
    Ad esempio, negli Stati Uniti durante gli anni Settanta, la diffusione pilotata di alcune droghe quali l'acido lisergico, la morfina e l'eroina, fu decisa e posta in essere per consentire un minor ricorso alla brutalità della forza pubblica, ossia alla violenza repressiva della polizia e del carcere, al fine di annichilire e neutralizzare quelle esperienze di controcultura, di cultura alternativa e ribellione giovanile molto in voga in quel periodo, nonché le lotte e le organizzazioni politiche della gente afroamericana.
    Infatti, il Black Power, il Black Panther Party, i Musulmani neri (si pensi, ad esempio, al celebre campione del mondo dei pesi massimi, Cassius Clay, in arte Muhammad Alì, un pugile nero che abbracciò la fede islamica), gli hippies, i Weatherman e altri gruppi e movimenti sovversivi statunitensi, furono sgominati anche (ma non solo) attraverso la diffusione pilotata di sostanze tossiche deleterie come l'eroina, l'LSD e altre droghe devastanti.
    La reazione della classe dominante statunitense non si concretizzò e non si misurò soltanto con i tradizionali strumenti di violenza e repressione esercitati dalle forze dell'ordine (regolari: esercito e polizia; irregolari: squadrismo di destra), per cui centinaia di militanti neri e di attivisti bianchi vennero assassinati e altre migliaia furono incarcerati, ma altresì con un intervento, altrettanto violento e repressivo, condotto sul versante culturale, mediante cioè la diffusione (pilotata e promossa ad arte) delle droghe e della "cultura delle droghe" all'interno delle realtà dei suddetti movimenti politici antagonisti, che in tal modo vennero definitivamente dispersi e sconfitti.
    Si pensi, ad esempio, alla gioventù nera americana, sterminata e brutalizzata fisicamente e mentalmente dal flagello delle droghe, danneggiata anche finanziariamente e costretta a delinquere, poiché per il drogato l'unica possibilità di sopravvivenza è il furto, che egli compie esclusivamente a scapito della propria comunità, la comunità afroamericana, e non contro la società bianca.
    Questa operazione repressiva fu concepita e diretta dalla CIA (vero cervello strategico-organizzativo della controrivoluzione e dell'eversione fascista internazionale), ma fu condotta grazie al contributo decisivo apportato dalla criminalità mafiosa siculo-americana e al ruolo di complicità offerto dai vertici dell'esercito nordamericano, all'epoca impegnato nella guerra in Vietnam. Un paese che insieme al Laos e alla Thailandia formava il famigerato "triangolo d'oro" delle coltivazioni di oppio. Oggi, questo primato negativo appartiene all'Afghanistan, dove non a caso è in corso una guerra sanguinosa, guidata dalla Tigre di Carta dell'impero nordamericano, al cui seguito arranca la pecorella italica.
    Ebbene, l'eroina fu diffusa prima tra i giovani dell'esercito yankee presente in Vietnam, per poi essere esportata nel mercato nordamericano, al fine di disgregare e contenere la realtà dei movimenti di lotta e di protesta che stavano crescendo soprattutto tra le minoranze di colore, sollevando e organizzando politicamente il proletariato giovanile afroamericano, e stavano minando seriamente le basi della società borghese statunitense.
    Il festival musicale pacifista di Woodstock (un megaconcerto hippie di tre giorni vissuti all'insegna della pace e della musica, tenutosi nell'agosto 1969) fu l'occasione più propizia in cui i vertici della CIA vollero sperimentare gli effetti delle droghe in un contesto di massa, per cui ordinarono alla polizia di non intervenire, per favorirne o, comunque, non impedirne la libera diffusione tra le migliaia di giovani partecipanti alla manifestazione musicale alternativa. Ebbero modo di verificare che i giovani intossicati e storditi dalle droghe diventavano praticamente innocui, vere larve umane, per cui decisero di ricorrere massicciamente alle nuove armi, che si rivelarono micidiali soprattutto per annientare il proletariato giovanile afroamericano. In breve tempo i movimenti antagonisti e rivoluzionari scomparvero dalla scena politica statunitense.
    Come accadde in Italia alla fine degli anni '70.
    L'eroina si dimostrò più efficace dell'opera di repressione tradizionalmente condotta dalle forze dell'ordine e dalle istituzioni statali ai fini della salvaguardia del sistema capitalistico occidentale. L'eroina fu dunque un elemento determinante intervenuto nella lotta di classe di quel periodo.
    Le droghe pesanti furono perfettamente funzionali all'azione repressiva condotta dalle forze del capitale per sconfiggere le vertenze sindacali e le battaglie rivendicative della classe operaia statunitense, per contrastare e narcotizzare i movimenti del proletariato giovanile afroamericano, per soffocare le lotte delle avanguardie politiche organizzate, per porre un freno alla rivoluzione sociale e intellettuale che si era compiuta nel decennio intercorso tra la fine degli anni '60 e la fine degli anni '70. Una rivoluzione che investì anche il costume dell'epoca, modificò radicalmente lo scenario culturale, la mentalità, la sfera sessuale, i comportamenti, le abitudini di vita, i gusti, i bisogni delle nuove generazioni del mondo occidentale.
    Gli anni Ottanta furono, invece, gli anni del disimpegno politico, del riflusso qualunquistico, della restaurazione, e non a caso furono contrassegnati da una vera e propria escalation della diffusione ed espansione del mercato e del consumo delle droghe, sia di quelle leggere sia di quelle pesanti.
    In Irpinia questa escalation si è verificata più tardi, a partire dagli anni Novanta, per esplodere drammaticamente nell'ultimo decennio.

    Sciocchi come struzzi
    Le tossicodipendenze sono solo un sintomo di un malessere ben più grave e sotterraneo, che sembra affliggere soprattutto la condizione giovanile, ma in realtà investe la condizione umana nel suo complesso, coinvolgendo l'universo sociale in modo quasi trasversale.
    Naturalmente, i tossicomani che provengono dalle famiglie più abbienti e benestanti possono usufruire dei privilegi e dei favori derivanti dalla loro estrazione socio-economica, mentre i drogati che appartengono alle classi sociali inferiori e più disagiate non riescono a godere dei medesimi vantaggi. Al contrario, sono duramente penalizzati e stigmatizzati, perseguiti e criminalizzati, costretti a delinquere per procurarsi la "roba", condannati a frequenti e ripetuti periodi di reclusione carceraria, per essere infine segregati ed emarginati dalla società perbenista borghese.
    Dal punto di vista della classe sociale, non è affatto vero che un tossicomane proletario sia uguale a un tossicomane borghese, sia per la mancanza di possibilità economico-materiali necessarie ad un'adeguata terapia disintossicante oppure ad acquistare la sostanza, sia per un diverso rapporto culturale e sociale con l'ambiente. Al contrario di un eroinomane borghese, quello di origine proletaria vive l'esperienza con la droga direttamente contro la sua classe di appartenenza, a favore del mantenimento dei rapporti di produzione capitalistici.
    È evidente che tale ragionamento ha valore anche per la realtà delle nostre zone, in Irpinia. In questo lavoro di indagine mi preme riflettere su un malessere alquanto diffuso tra le giovani generazioni irpine, un disagio esteso e strisciante che si manifesta attraverso varie forme, in quanto il consumo di stupefacenti, insieme all'alcolismo e altre forme di dipendenza, rivelano un'entità statistica assolutamente sproporzionata rispetto alle caratteristiche e alle dimensioni demografiche, territoriali e sociali, delle popolazioni locali.
    In altre parole, non ci si può ostinare a nascondere il capo sotto la sabbia, alla stregua di tanti struzzi, incapaci di cogliere un pericolo fin troppo evidente. Non si può egoisticamente far finta di nulla finché il problema non investe direttamente, tragicamente, i nostri affetti personali e familiari.
    Le droghe, non solo le sostanze più innocue e leggere, ma altresì quelle più letali e perniciose (come l'eroina, il kobrett, il crac), sono di fatto liberalizzate anche nelle piccole comunità di provincia, in quanto sono libere di circolare, di essere consumate (la vendita e lo spaccio avvengono invece altrove, nelle periferie più degradate dell'area metropolitana di Napoli) anche nei paesini più isolati e dispersi tra i monti irpini, malgrado i controlli sempre più stretti e frequenti delle forze dell'ordine, nonostante i divieti legati alla normativa vigente, quantunque si siano inasprite le pene derivanti da una legislazione proibizionista, anzi proprio in virtù di un regime solo formalmente proibizionista. Il quale, con l'entrata in vigore della legge che reca la paternità del postfascista Fini, ha assunto un aspetto più liberticida e quasi draconiano.

    La "cura" peggiore del male
    In realtà, le droghe non sono proibite in quanto pericolose, ma sono pericolose proprio perché proibite.
    Questo è il parossismo allucinante in cui ci troviamo, una contraddizione paradossale e inafferrabile che si annida persino nella realtà apparentemente monotona, immobile e imperturbabile, dei paesini sparsi in Irpinia, una provincia che vanta un altissimo numero di piccoli centri con meno di tremila, quattromila abitanti. A tal punto che qualcuno, in terra irpina, magari per risolvere ingegnosamente il problema della disoccupazione, ha escogitato una nuova, interessante professione: quella del "paesologo". Riscuotendo clamorosi e brillanti successi personali.
    Ebbene, credo che sia necessario chiedersi onestamente se l'attuale normativa proibizionista riesca a debellare ed eliminare il "flagello" delle droghe. Di fatto, il regime proibizionista può a malapena ledere o scalfire la dura corteccia che avvolge la mala pianta. Lo confermano le più aggiornate stime statistiche che rivelano invece un costante incremento del consumo di sostanze tossiche letali (soprattutto di tipo sintetico) tra le giovani generazioni, segnalando in modo particolare una pericolosa tendenza verso la precocizzazione di tali abitudini.
    Il proibizionismo è dunque più assurdo e nocivo del consumo stesso di droghe, nella misura in cui tale sistema penale non risolve affatto il problema, né lo intacca minimamente, ma si limita solo ad occultarlo in modo ipocrita o sciocco, negando l'evidenza della realtà, ossia che le droghe circolano ugualmente, anzi in misura maggiore rispetto ad una diversa legislazione, più tollerante e permissiva, che provi a legalizzare e regolamentare il consumo, depenalizzando quei comportamenti che attualmente sono puniti come reati, così da alleggerire il carico di lavoro sopportato dal sistema giudiziario e penitenziario italiano.
    Infatti, è proprio un regime di tipo proibizionista che permette in concreto, pur imponendo un divieto puramente rituale, una liberalizzazione crescente del consumo, un'espansione selvaggia del narcotraffico, ossia del mercato nero, gestito dalla grande criminalità organizzata, mafiosa e camorrista, che grazie a tali proventi fiorisce come una pianta carnivora e malefica, con tutte le conseguenze devastanti in termini di costi umani, sociali, economici, giudiziari, che inevitabilmente ne derivano.
    Anche nelle nostre realtà il proibizionismo non ha affatto impedito, pur vietandolo formalmente, il consumo effettivo di sostanze stupefacenti, che invece continua ad estendersi, facendo incrementare a dismisura i profitti del crimine organizzato, colluso e intrecciato con i circuiti affaristici legalizzati e protetto da una parte della classe politica dirigente.
    In Irpinia ci sono paesi con poche migliaia di abitanti, in cui si registra un'elevata percentuale di tossicomani, con un impressionante tasso di decessi per overdose, assolutamente non proporzionato alle dimensioni reali delle popolazioni.

    Droga e società dei consumi
    Se possibile, vorrei provare ad analizzare e spiegare fenomeni che sono di enorme portata sociale e non sono affatto comprensibili e giustificabili in rapporto alla consistenza effettiva delle popolazioni locali.
    Partiamo da alcuni dati di fatto, da alcune evidenze che sono assolutamente innegabili.
    Negli ultimi anni, il problema della tossicomania giovanile è uno di quei fenomeni sociali che si sono modificati più velocemente anche nelle nostre zone, assumendo proporzioni e connotati di massa prima impensabili e sconosciuti. Questa trasformazione è uno dei segnali che attestano in modo eloquente la mutazione economico-sociale e antropologico-culturale che si è verificata nei nostri luoghi.
    In una società che ormai è diventata una società di massa, in cui predominano tendenze e comportamenti consumistico-edonistici di massa, è inevitabile che anche il consumo di quelle sostanze chiamate "droghe" diventi un'abitudine di massa, anzitutto per un effetto di emulazione e di omologazione culturale, vale a dire a causa di ciò che comunemente viene definito "moda".
    In questo discorso occupano una posizione centrale e preminente l'ideologia e la mercificazione del "tempo libero".
    La società borghese ha ormai imposto da tempo un'ideologia del "tempo libero" inteso falsamente come una frazione della propria vita quotidiana libera da impegni di lavoro e di studio (e quindi di lotta) da poter dedicare agli svaghi, agli hobby, alle vacanze, ossia ai consumi economici dei divertimenti. Tale mistificazione ideologico-culturale è perfettamente funzionale ad un processo di mercificazione e privatizzazione del "tempo libero" che è diventato un ulteriore momento di alienazione dell'individuo nella fruizione passiva e meramente consumistica di prodotti offerti dall'industria del "tempo libero" e del "divertimento" come, ad esempio, il sesso, la musica, lo sport e... le droghe. Sex, drugs and rock'n'roll.
    In seguito ai processi di globalizzazione economica e culturale, tali tendenze si sono estese e diffuse su scala planetaria.
    Si pensi al mercato del sesso e della musica, ovvero alle industrie della pornografia e della discografia, che hanno conosciuto un'autentica esplosione ed espansione a partire soprattutto dagli anni '60. Questo per quanto concerne l'economia privata. Invece, sul piano delle istituzioni pubbliche, sia l'educazione sessuale che l'educazione musicale nelle scuole statali lasciano completamente a desiderare (addirittura, nel caso dell'educazione sessuale non esiste nemmeno la relativa materia di studio all'interno del piano del curricolo didattico-formativo e disciplinare).
    Anche il fenomeno sportivo è diventato una merce di consumo di massa, dal momento in cui lo sport moderno, nell'economia di mercato e nella società capitalistica contemporanea, è diventato uno spettacolo di massa, quindi un'industria che produce un'incessante offerta di eventi sportivi da spettacolarizzare e da vendere, soprattutto grazie all'avvento dei mezzi di comunicazione di massa, in modo particolare della televisione. In tale contesto i giovani sono diventati masse di fruitori passivi degli spettacoli sportivi prodotti quotidianamente dall'industria culturale del "tempo libero".
    Tali fenomeni di massificazione, mercificazione e alienazione del "tempo libero" sono evidenti anche nei piccoli contesti di provincia in cui viviamo.

    La criminalizzazione della vita quotidiana
    Le periodiche campagne politico-mediatiche sulla criminalità e sull'ordine pubblico sono assolutamente mistificanti e strumentali. Per varie ragioni.
    Anzitutto, ci si guarda bene dall'analizzare le origini e le cause reali della criminalità, tanto meno di confrontarla con la criminalità delle classi dominanti (guerre, mafia, omicidi bianchi, bancarotta, fallimenti, evasione fiscale, ecc.) che non viene mai menzionata dai mass-media di regime. Per gli organi della (dis)informazione ufficiale, l'unica criminalità esistente è quella dei proletari, degli emarginati, dei migranti, degli oppressi.
    Le classi dominanti mantengono il sistema con la violenza, attraverso il monopolio e l'esercizio esclusivo della forza pubblica, riversando la loro violenza sul proletariato e sulle classi lavoratrici, in modo particolare sul proletariato giovanile più marginale.
    A tale scopo sono funzionali alcuni meccanismi e alcuni fenomeni provocati e alimentati ad arte come, ad esempio, il "teppismo" negli stadi di calcio e le "droghe illegali".
    Ormai le violenze legate alla sfera degli stadi di calcio, da episodi "eccezionali", sono diventati un fenomeno "normale", quotidiano, accettato come un fatto naturale, da esecrare e rigettare solo ritualmente e ipocritamente, fornendo spunti per inutili dibattiti sulla carta stampata e in televisione.
    Siamo di fronte ad una perversa e cinica operazione di criminalizzazione della vita quotidiana, che si avvale di molteplici strumenti e meccanismi (economici, sociali, politici, legislativi) tra i quali figura anche il regime proibizionista vigente in materia di alcune (non tutte le) droghe. Sul piano economico-politico una sostanza come l'eroina è pienamente funzionale ad un sistema basato sul dominio e sulla criminalità di classe.
    Dal punto di vista economico, benché l'eroinomane non costituisca una forza-lavoro intesa secondo i canoni tradizionali, tuttavia egli, essendo in pratica uno schiavo della sostanza, un maniaco dipendente, pronto a tutto, a rubare, a spacciare, a costruire il mercato (nero), produce reddito (illegale) in quanto forza-lavoro, come se non meglio di un lavoratore normale, ottenendo in cambio nessun salario e nessun contratto sindacale. Meglio di così!...
    Sul versante politico, gli assuntori di eroina non solo cessano di opporsi attivamente al sistema, ma diventano un terreno assai fertile per la repressione e la provocazione contro i movimenti giovanili di lotta e di protesta. Come si è ampiamente spiegato in un precedente paragrafo.
    Oggi è sempre più esile e impercettibile, se non addirittura inesistente, il confine tra legalità e illegalità, in modo particolare tra economia legale e illegale, tra la cosiddetta "mafia capitalista", inserita nei circuiti finanziari istituzionali, e la criminalità mafiosa convenzionalmente intesa.
    Il crimine e il delitto sono oggi assorti al livello della legge e della norma, su scala globale. Quella che prima si poteva (forse) considerare come una "devianza dalla norma" si è tramutata nel suo esatto contrario, in quanto la devianza si è imposta come norma, intendendo in questo caso per "devianza" soprattutto il delitto, a cominciare dai peggiori crimini commessi dal sistema economico dominante a livello mondiale.