La soggettività costituisce di certo un valore fondamentale (e fondante) della dimensione umana.
La soggettività, a sua volta, fa essenzialmente riferimento a due diversi concetti: quello di idea e quello di individualità. Ed invero, all'inizio del manifestarsi del pensiero occidentale la soggettività venne intesa essenzialmente come logos, ovvero come individuazione del principio (idea), archè, in grado di spiegare e dar conto della molteplicità del reale, e quindi il vero ed unico senso della realtà e del suo divenire; in tale impostazione quindi la soggettività intesa come idea (soggettività in quanto l'essenza dell'uomo, soggetto, consisteva proprio nel percepire tale idea) si contrapponeva alla realtà fattuale intesa come oggetto e come mera apparenza . Espressione tipica di tale impostazione fu ad esempio la filosofia di Platone con l'individuazione del concetto di Idea, (e del correlato Iperuranio) contrapposto alla realtà oggettiva; la prima perfetta e infinita, la seconda, all'opposto, imperfetta e finita; quindi soggettività, intesa come idea, pensiero, contrapposta all'oggetto, alla res. Tale contrapposizione venne superata, anzi negata, da quelle filosofie che ritenevano per contro che l'idea, la ragione delle cose, non fosse un'entità diversa e distinta dall'oggetto, bensì al contrario fosse insita ed immanente nella realtà stessa; di tal genere, ad esempio, è stato il pensiero di Aristotele, il quale negava per l'appunto l'Iperuranio di Platone. Entrambe le impostazioni comunque, concordavano nel ritenere che la realtà (l'oggetto), tutta la realtà, avesse una spiegazione razionale, sicchè esisteva un'unica verità certa ed immutabile conoscibile dalla ragione umana (logos). Tale concezione venne avversata da coloro (i sofisti prima e gli scettici dopo) che ritennero all'opposto che la realtà non consente sempre e comunque una spiegazione certa razionale ed obiettiva, sicchè non esiste un'unica verità bensì tante verità quanti sono i diversi modi di approcciare la realtà da parte del singolo individuo ("l'uomo è la misura di tutte le cose", diceva Protagora). Dalla soggettività intesa come logos, come assoluto, si passa quindi alla soggettività intesa come individualità, ovvero come relatività. Con il Cristianesimo (Sant'Agostino) si ritorna nuovamente al logos, incarnato nella Divinità (il Verbo si è fatto carne); diversamente però dal razionalismo greco di Platone ed Aristotele, Sant'Agostino evidenzia come il logos lo si può raggiungere e conoscere non solo tramite la ragione, che a tal fine è limitata, ma anche con il cuore (sentimento, fede) che alberga in ciascuno di noi, ovvero in ogni singolo individuo (tale sarà l'impostazione anche di filosofi di epoca moderna quali Pascal, e per alcuni versi anche quella di Kant di cui alla Critica del Giudizio). Con Sant'Agostino, quindi, il concetto di individualità cambia profondamente rispetto al concetto di individualità così come inteso dai sofisti e dagli scettici; infatti, mentre questi ultimi concepivano l'individualità essenzialmente per negare l'assoluto (il logos) e per sostenere al contrario la relatività della conoscenza, conseguenza del relativismo insito nella singola individualità, con Sant'Agostino l'individualità (il cuore, l'interiorità, diversa dalla ragione) viene invece intesa essenzialmente quale mezzo tramite il quale l'uomo può conoscere e percepire l'assoluto (il logos); con Sant'Agostino, quindi, s'inizia a concepire l'individualità anche in relazione alla componente non razionale dell'uomo qual è la componente latu sensu sentimentale (la fede); ma Sant'Agostino rileva per quanto concerne il concetto di individualità anche sotto altro profilo; egli infatti pone l'accento anche sul libero arbitrio quale componente essenziale dell'individualità: l'uomo non è solo conoscenza, ma è anche azione, ed in tale suo agire l'individuo è libero nel suo determinarsi. In epoca moderna vi fu un ritorno (Cartesio, Leibniz) al concetto di logos quale mera razionalità; si ritorna quindi a concepire la soggettività essenzialmente come puro pensiero (res cogitans), come tale contrapposto alla materia (res extensa); rimane sullo sfondo il concetto di individualità. Tale contrapposizione tra res cogitans e res extensa si cercò di superarla, richiamandosi ad impostazioni di stampo aristotelico, sostenendo che l'unica realtà è la materia e che non esiste quindi una ragione che preesiste alla materia e autonoma da quest'ultima (empirismo, Locke), o negando tale distinzione e sostenendo (Spinoza) che in verità la sostanza è unica, e che il pensiero (soggettività) e la materia (oggettività) altro non sono se non due diversi modi di essere della medesima ed unica sostanza. Infine il superamento della contrapposizione tra res cogitans e res extensa si conclude con l'idealismo hegeliano secondo il quale tutto si compie quando l'Idea in sé (la soggettività, il logos, lo Spirito, il puro pensiero) dopo essersi alienata nell'Idea fuori di sé (la natura, ovvero la rex estensa concepita per l'appunto come contrapposta all'Idea in sé ovvero al logos), ritorna a Sé (il che accade con lo Spirito Assoluto), comprendendo che non vi è contrapposizione e differenza tra soggettività ed oggettività, in quanto tutto ciò che è razionale (soggettività, intesa come logos) è reale (res extensa) e tutto ciò che è reale è razionale. Tale completa armonia tra soggettività ed oggettività viene invece negata da quelle impostazioni (Fichte) che al contrario concepiscono il rapporto tra tali due componenti in termini di contrapposizione (l'Io, inteso quale soggettività, quale puro pensiero, e il non-Io, inteso quale oggettività), nel senso che l'uno limita l'altro. Con tali impostazioni riaffiora nuovamente (per non essere più abbandonata) la soggettività intesa essenzialmente quale individualità; ed infatti dal rapporto dialettico tra l'Io e il non-Io, scaturisce (sintesi) l'io empirico (il singolo individuo) che si caratterizza in quanto nei confronti della realtà (non-Io) non si pone solo in termini di mera conoscenza (razionalità) di una realtà già data ed immutabile, bensì in termini di "attività", di "libera attività" (e tale infatti è anche l'Io, tant'è che è proprio l'Io a porre [attività] il non-Io), ovvero di possibilità di interagire con la realtà modificandola, in un continuo divenire che non avrà mai fine. Tale componente volontaristica dell'individualità (in quanto per l'appunto libertà di agire modificando la realtà, l'oggetto), viene ulteriormente approfondita ed evidenziata da filosofi quali Rousseau (il quale pone soprattutto l'accento sulla componente sentimentale rispetto a quella meramente razionale), Schopenhauer, Kierghegaard, Nietzsche, Bergosn, per giungere infine agli esistenzialisti (Heidegger, Jaspers, Sartre). Tali concezioni evidenziarono essenzialmente tre diverse caratteristiche della soggettività/volontà: l'irrazionalità - la probabilità, e quindi l'incertezza - il pessimismo, l'angoscia e la disperazione. Con l'irrazionalità (Schopenauer) si pose l'accento sulla circostanza che la volontà che decide dell'agire individuale non risponde ad alcun disegno unitario e razionale. Per quanto riguarda invece la probabilità e la connessa incertezza (che finisce con l'essere una dimensione esistenziale della stessa soggettività/individualità), essa deriva dalla libertà che caratterizza la volontà, ovvero non essendoci un dover essere stabilito a priori, ogni scelta è possibile (probabile) e come tale quindi non sussiste alcuna certezza. A tale incertezza appare strettamente connessa e consequenziale la dimensione di angoscia e disperazione in cui sprofonda l'individualità. Ed invero, resosi conto che la dimensione razionale (ragione, certezza ed oggettività) è in fondo una dimensione parziale se non secondaria del proprio essere, l'uomo comprende invece che la sua essenza preminente è costituita dalla soggettività che si contrappone alla ragione, appunto perché totalmente libera, non determinata, istintiva. Sennonchè, venendo meno ogni dover essere, ogni a priori, ogni certezza, l'individuo non dispone più di alcun criterio in base al quale effettuare le sue scelte, i suoi progetti di vita; e in ogni caso, anche quando effettua delle scelte, persegue degli obiettivi, tali scelte, tali obiettivi saranno comunque pur sempre provvisori, contingenti e mai definitivi, cosicché una volta raggiunti (ammesso che ciò accada), si porrà nuovamente il problema di una nuova scelta, di un nuovo progetto. Al contempo il singolo si rende conto che la sua libertà è comunque fortemente condizionata, limitata dalla "situazione data" (realtà oggettiva della quale fa parte lo stesso soggetto) in cui l'individuo si trova "gettato" (Heidegger, Jaspers). Da qui la dimensione esistenziale di angoscia, insoddisfazione in cui versa la soggettività: chiamato a scegliere, a progettare la sua vita, perché tale è la sua essenza, l'uomo comprende che tale scelta, tale progettualità gli è in fondo preclusa, o comunque fortemente compromessa; in tale conflitto esistenziale si manifesta il naufragio esistenziale (Jaspers) dell'uomo contemporaneo. |