Il rapporto soggetto(individuo)/oggetto(realtà) si rileva essenzialmente sotto tre diversi profili: a) conoscenza dell'oggetto da parte del soggetto; b) sensazioni, positive, negative, o indifferenti, che l'oggetto così come conosciuto genera sul soggetto; c) interazione del soggetto sull'oggetto, ovvero capacità del soggetto di agire sulla realtà, previe apposite scelte e decisioni in tal senso.
Tali profili si atteggiano e vengono concepiti in maniera sostanzialmente diversa a seconda che si faccia riferimento ad impostazioni di carattere soggettivistico o oggettivistico. Le impostazioni di carattere oggettivistico ritengono essenzialmente che la realtà (l'oggetto) sia del tutto indipendente dal soggetto, nel senso che quest'ultimo può solo conoscere, comprendere la realtà, nonché le regole ed i meccanismi che disciplinano l'evolversi della realtà medesima; tale realtà è comunque predeterminta e necessitata e come tale prescinde dal soggetto. Tali concezioni ritengono quindi che il profilo sub a) della conoscenza ed il profilo sub c) della decisione siano essenzialmente di carattere oggettivo e che tale oggettività si estrinsechi nella ragione umana. La ragione infatti, se rettamente utilizzata, consente di conoscere esattamente la realtà ed i meccanismi che la regolano e conseguentemente consente all'individuo di individuare volta per volta la decisione esatta del suo agire (il dover essere). Tali impostazioni, è bene chiarire, interpretano in termini essenzialmente oggettivi (razionali) non solo la realtà fattuale (i fenomeni latu sensu scientifici), ma anche la realtà morale, ovvero ritengono che anche la regola morale sia una regola oggettiva, e come tale conoscibile con la ragione umana. Di tal genere è essenzialmente la filosofìa greca classica (Socrate, Platone e Aristotole). Secondo Socrate ad esempio, la virtù è conoscenza e quindi il male è frutto dell'ignoranza (intellettualismo socratico) ovvero, se la ragione non fa conoscere all'uomo la retta via, si corre il rischio che a determinare l'agire dell'uomo possano essere le passioni, intese queste ultime in termini essenzialmente negativi, ovvero come forti pulsioni (le sensazioni di cui al profilo sub b) che possono indurre l'individuo a comportarsi in maniera non giusta; ma se invece la ragione fa conoscere all'uomo la retta via, l'agire del singolo sarà certamente un agire corretto (si pensi a tal proposito al mito platonico della biga alata, secondo il quale l'uomo può conformare il proprio agire o agli impulsi positivi che gli derivano dall'anima emotiva, il cavallo bianco, o agli impulsi negativi derivantigli dall'anima istintiva, il cavallo nero; sarà compito della ragione, l'auriga, indicare, far conoscere, all'uomo la retta via che consisterà nell'ispirarsi agli impulsi positivi dell'anima emotiva). In termini sostanzialmente analoghi anche il pensiero stoico e, in epoca medievale, filosofi come Tommaso d'Aquino, e successivamente in epoca moderna filosofi come Spinoza e Kant, per lo meno per quanto concerne la conoscenza del fenomeno e anche della stessa regola morale, nonché lo stesso Hegel secondo il quale "tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale", ovvero tutta la realtà è esclusivamente oggettiva e come tale può essere conosciuta dalla ragione, nonché, per giungere a secoli a noi vicini, le varie concezioni del positivismo e del neopositivismo. Venendo alle concezioni di carattere soggettivistico, esse, diversamente dalle concezioni oggettivistiche sopra evidenziate, ritengono che qualunque aspetto della realtà (e non solo quindi quello relativo all'agire del singolo) è essenzialmente una realtà soggettiva e non oggettiva; ovvero tali concezioni ritengono che la realtà è tale non in quanto tale oggettivamente, ovvero predeterminata, bensì in quanto tale è concepita dal singolo soggetto, sicché conseguentemente non esiste un'unica realtà oggettiva (il vero), bensì tante diverse realtà (verità) quanti sono i diversi modi di approccio alla realtà medesima da parte dei diversi soggetti nei diversi contesti. Tali concezioni si manifestarono sin dall'antichità con i sofisti prima e con le varie forme dello scetticismo, passando in epoca medievale con il pensiero dei francescani Occam e Duns Scoto, fino a giungere allo scetticismo di Montaigne. A porre l'accento sulla componente soggettiva rispetto alla componente oggettiva (=ragione), furono anche filosofi quali Pascal e Hume; entrambi infatti evidenziarono i limiti della ragione: il primo rilevando come vi sono delle realtà (in primo luogo la realtà religiosa) che non possono essere comprese e percepite dalla ragione, bensì solo dal cuore (in tal senso anche Agostino), inteso quest'ultimo quale componente prettamente soggettiva della dimensione umana; il secondo estendendo tale componente soggettiva anche alla percezione e conoscenza della regola morale. Nel XIX e nel XX secolo la componente soggettiva acquista una valore sempre più preponderante rispetto alla componente oggettiva: a partire da Fichte, infatti, si evidenzia come la realtà esterna ("non Io", nella terminologia fìchtiana), non costituisce un dato oggettivo, assoluto e immutabile, bensì un dato oggetto di continua modifica ed evoluzione ad opera della soggettività ("l'Io" della terminologia fichitiana). Tale preponderanza della componente soggettiva, continua e si evolve nelle diverse concezioni del volontarismo di Schopenauer e di Nietzsche, nel soggettivismo di Kierkegaard, nello spiritualismo di Bergson, nella fenomenologia di Husserl, nell'esistenzialismo di Heidegger, di Sartre e di Jaspers, nel razionalismo critico di Popper, per giungere fino all'ermeneutica di Gadamer e al ed. pensiero debole di Vattimo. Tutte queste diverse concezioni sono accomunate dall'affermazione della prevalenza del soggetto sull'oggetto, nel senso che ritengono che l'oggetto, ovvero la realtà (qualunque tipo di realtà, sia quella fattuale, sia ad esempio quella morale), non è predeterminata, e quindi non è come tale oggettiva, assoluta ed immutabile ed unitaria, bensì è tale in quanto tale è concepita e percepita in un determinato contesto e da determinate forme di soggettività, sicché la realtà (l'oggetto) muterà al mutare del soggetto, e quindi la realtà non è assoluta, immutabile ed unitaria, bensì, al contrario, mutabile, relativa e frazionata. Le differenze sopra evidenziate tra le concezioni oggettivistiche e le concezioni soggettivistiche, si ripercuotono anche sul diverso modo di atteggiarsi e sulle reciproche interferenze tra la capacità decisionale del soggetto, ovvero la capacità del soggetto di agire sulla realtà, e le sensazioni, positive o negative, che una determinata realtà genera sul soggetto medesimo. Ed invero, atteso che secondo le concezioni oggettivistiche la realtà è essenzialmente una realtà oggettiva, predeterminata e necessaria, e quindi integralmente razionale, la scelta del singolo circa il suo agire sarà, dovrà essere, anch'essa una scelta prettamente razionale ed oggettiva, appunto perché essa s'inserisce in tale dimensione razionale ed oggettiva; conosciuta (secondo ragione) la scelta giusta, razionale, la successiva e conseguente azione non potrà che essere conforme a tale scelta, anch'essa oggettiva e razionale (in tal senso l'intellettualismo socratico di cui sopra). In tale impostazione quindi le sensazioni positive o negative che una determinata realtà genera nell'individuo sono comunque irrilevanti ai fini della scelta, appunto perché essa deve essere determinata esclusivamente dalla ragione oggettiva. Va però evidenziato che a differenza della filosofia classica (Socrate, Platone), la filosofia moderna (Cartesio, Leibniz, Kant), pur ribadendo che la realtà è essenzialmente una realtà oggettiva, governata dalla necessità, conoscibile per l'appunto tramite la ragione, ritiene tuttavia che l'agire del soggetto non è determinato solo dalla conoscenza razionale, nel senso che (diversamente dall'intellettualismo socratico) reputa che, anche se il singolo conosce il bene, nonostante ciò può ugualmente agire nel male (e questo è essenzialmente il fondamento del libero arbitrio; in tal senso anche Agostino). Tale possibilità deriva dalla circostanza che l'agire del singolo non è determinato solo dalla oggettività (razionalità), ma anche da componenti di carattere soggettivo, ovvero da componenti che fanno sì che la realtà venga percepita e vissuta dai singoli in maniera diversa l'uno dall'altro, proprio perché diverso è l'approccio che il singolo ha con la realtà. L'importanza di simili componenti soggettive acquista sempre più rilevanza nelle concezioni di carattere soggettivistico per le quali, come si è visto, non solo la capacità di decidere è influenzata da elementi di soggettività, ma la stessa conoscenza della realtà è condizionata da vantazioni soggettive, sicché alla fine la stessa realtà non è solamente oggettiva ma anche soggettiva. Ma in cosa consistono queste componenti soggettive? E inoltre, tali componenti soggettive escludono del tutto le componenti oggettive, e, se ciò non accade, che rapporto intercorre (o dovrebbe intercorrere) tra le componenti oggettive e le componenti soggettive? Per quanto concerne il primo quesito, va rilevato che due essenzialmente sono le valenze delle componenti soggettive: l'una attiene alla conoscenza della realtà da parte del soggetto (componente soggettiva tendenzialmente esclusa dalle concezioni di carattere oggettivistico); l'altra (sentimento) concernente le sensazioni, positive, negative o indifferenti, che una determinata realtà provoca al singolo soggetto (componente questa che, sebbene ammessa anche dalle concezioni di carattere oggettivistico, secondo tali concezioni tuttavia non dovrebbe comunque incidere sulla comprensione e sulla capacità decisionale del singolo; per le concezioni soggettivistiche invece anche tale componente incide in maniera rilevante sulla capacità decisionale). Ciò posto, venendo al secondo quesito, va osservato che anche da parte delle concezioni di carattere soggettivistico si finisce comunque con l'ammettere l'esistenza nella realtà di una dimensione, componente, oggettiva (a prescindere da quale sia il fondamento di tale oggetti vita). Qual è allora il rapporto che dovrebbe intercorrere tra la componente soggettiva e quella oggettiva? Tale rapporto dovrebbe essere improntato essenzialmente all'osservanza delle rispettive competenze, nel senso che ognuna delle due componenti dovrebbe incidere solamente in relazione a ciò che concerne la propria dimensione. E così infatti, pur ammettendo che nella decisione del singolo interviene in maniera più o meno rilevante la componente soggettiva, la scelta presuppone pur sempre un'esatta percezione della realtà sulla quale incide la scelta medesima, sicché se si percepisce la componente oggettiva della realtà non già con l'oggettività propria della ragione, bensì con la soggettività propria del sentimento, si corre il rischio di inficiare il conseguente processo decisionale; ed al contrario, se si pretende (o meglio ci si illude) di sostituire nella scelta a quella che è e resta una componente essenzialmente soggettiva (sentimento), la componente oggettiva (ragione), anche in questo caso, sebbene per motivi opposti, si corre pur sempre il rischio di inficiare il processo decisionale. Resta da chiedersi, a questo punto, quale sia l'esatta sfera di riferimento della componente oggettiva e quale quella della componente soggettiva. La risposta a tale quesito però, come è facile intuire, non può essere certa ed univoca; essa infatti varia a seconda delle diverse concezioni (oggettivistiche o soggettivistiche) alle quali si accede, tenendo peraltro presente che, sotto alcuni profili, il progresso scientifico tende a ridurre lo spazio della soggettività a favore dell'oggettività, fermo restando, comunque, che la sfera della soggettività è e resterà sempre la cifra caratterizzante l'essenza della dimensione umana. |